Eccoci qua. E fa niente se il Korova Milkbar ha chiuso i battenti da anni e non è più tempo di “lattepiù”. Malcolm McDowell, l’eterno Alex di Arancia Meccanica, magari festeggerà in maniera un po’ più sobria che andando in giro con i suoi tre drughi, il proprio 71esimo compleanno.
Nato il 13 giugno 1943 da una famiglia di umili origini nei pressi di Leeds, è l’emblema di come un attore che ha recitato in centinaia di film e serie Tv possa identificarsi così tanto con un personaggio da restarne inchiodato per il resto dell’esistenza. Passato alla storia – del cinema, ma anche del costume – grazie al capolavoro di Stanley Kubrick, McDowell è semplicemente, per tutti, Alex DeLarge, il capo di una banda violenta e crudele, dedito al sesso e al “piacere impiacentito e divenuto carne” delle sinfonie di Beethoven, il “dolce dolce Ludovico Van”.
Non che gli sia costato poco, entrare nella storia del cinema tramite quel ruolo. La leggenda narra che a causa della celebre scena del lavaggio del cervello – la cura Ludovico in cui Alex è costretto dalla repressione del sistema giudiziario anglosassone a tenere aperte le palpebre dinanzi a scene di morte e violenza – gli costò una lesione delle cornee. Kubrick, pignolo e perfezionista come molti geni, però si fidava di Malcolm. Tanto che si deve a un’intuizione dell’attore britannico l’introduzione del motivo di “Singin’ in the rain” canticchiato mentre pesta uno scrittore e sta per abusare della moglie in una delle scene più celebri del cinema mondiale.
Ma McDowell è stato un attore prolifico e versatile, con alterni risultati, come pochi. Celebre la sua interpretazione del ruolo da protagonista in “Io Caligola”, lungometraggio girato da Tinto Brass in cui interpreta l’imperatore romano sullo sfondo di scene così libertine da incappare nelle cesoie della censura. Negli ultimi anni, già invecchiato e con il volto incorniciato da una capigliatura bianca in cui sono incastrati due occhi color ghiaccio, ha fornito una convincente interpretazione in Evilenko, pellicola dedicata alle gesta del mostro di Rostov, “il comunista che mangiava i bambini”, terribile serial killer che terrorizzò l’Unione Sovietica stuprando e uccidendo circa cinquanta bambini. Il fascino del malvagio gli è rimasto incollato addosso, a McDowell. Ma, in mezzo a tante pellicole scadenti, svetta l’interpretazione in Arancia Meccanica, autentico cult per intere generazioni.
Quel film, e il personaggio del drugo Alex, sono un compendio del politicamente scorretto, di un nichilismo esasperato ed esasperante che reagisce al conformismo di un modello basato sul pensiero unico e sull’omologazione che nel 1971 – anno di uscita nelle sale di Clockwork Orange – era solo agli albori e che adesso è divenuto norma. Per contrasto la follia visionaria di Kubrick partorì una pellicola che fece accapponare la pelle persino allo scrittore Anthony Burgess, autore del romanzo da cui è tratto il film. E in cui “l’amata ultraviolenza” è figlia di quello stesso sistema coercitivo e alienante che tenta, invano, di rieducare i drughi, riuscendo soltanto ad assorbirli nei gangli di una perenne finzione (e violenza) di Stato. Oggi, a 71 anni, Malcolm-Alex può dire, a ragionare, di aver modificato il gusto e il costume. A dispetto dei soloni che si arrovellarono il gulliver per bollare quel capolavoro come un film “dall’estetica fascista”, che incitava alla violenza invece che condannarla, facendo finta di non capire che c’è molta più crudeltà nelle ordinarie follie del Potere che nella masochistica ribellione nichilista. Con quello sguardo azzurro e “chiaro come un lago senza fango, così limpido come un cielo d’estate sempre blu”, McDowell guarda a un passato divenuto per molti tratti presente, brindando, con l’amato lattepiù, a chi non accetterà mai lezioni di moralismo.
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