Non è pronto. È «prontissimo». Pierluigi Bersani, da Berlino, non sta nelle pelle quando divora le agenzie di stampa che portano da Roma segnali di pace da parte di Mario Monti. La gita berlinese – in pellegrinaggio alla corte del superministro tedesco dell’Economia Wolfang Schaeuble – ha portato al leader democratico “consigli” e risultati che lo hanno convinto ad annunciare l’esito della sfida prima della partita: vinciamo o no, ci alleiamo. Di fatto l’asse tanto aspirato dal rinnovato asse francotedesco (perché nessuna discontinuità ha garantito Hollande nei diktat Ue) nasce – potenza dei simboli e in un trionfo del sillogismo – alla corte di Berlino.
Qualcosa, in effetti, si era inceppato nell’intesa che avrebbe dovuto portare – senza troppi patemi – progressisti e neocentristi alla guida del Paese. Da una parte lo scandalo del Monte dei Paschi di Siena che chiama direttamente in causa il sistema Pd. Dall’altra un Monti scatenato contro il centrosinistra che ha sorpreso più di un interlocutore. Il “professore” infatti, negli ultimi giorni, ha sparato su tutto. Ha accusato la Cgil – vera azionista di maggioranza in casa Pd – di essere stata il vero ostacolo dell’azione di governo. Ha addirittura ha ironizzato sul “1921”, l’anno zero della sinistra italiana. Troppo anche per un filomontiano come Enrico Letta che ha consigliato al premier «prudenza».
Ma, deus ex machina, ci ha pensato il Cav a rimettere i birilli al loro posto. La sortita del leader del Pdl sull’Imu – unita alla profezia (autoavverante?) dei sondaggi – ha letteralmente mandato nel panico i quartieri generali degli avversari. Tanto che Bersani ha chiamato a sé Matteo Renzi e lo stesso Mario Monti ha iniziato a parlare in fretta e furia di riduzione delle tasse. La scusa del rialzo dello spread allora – il cui allarme era infondato come hanno dimostrato glia analisti – e le bacchettate giunte dalla stampa di settore estera si sono dimostrate occasioni troppo ghiotte, forse l’ultimo treno, per non essere prese al volo.
Questo matrimonio dunque (perché Monti sembra un po’ allergico alle coppie di fatto) s’ha da fare. Ma, visto che su Barbadillo siamo precisi, andiamo a snocciolare quali dovrebbero essere i punti di questo patto pre-matrimoniale. Lavoro? Le posizioni, ad oggi, tra centrosinistra e montiani sembrano inconciliabili: da una parte Fassina, il socialdemocratico fan dello Statuto, dall’altra Ichino, il neolabour che lo Statuto vuole superare. Diritti civili? Il neoguelfo Monti non ne vuol sentire parlare, mentre per i progressisti guardano alle “conquiste” ottenute da Hollande e Cameron. Rigore? Per Monti è un mantra, per Bersani lo è il tema della spesa pubblica. Si potrebbe dire: il nemico è il “berlusconismo”, per cui trovare la sintesi è possibile.
Il problema vero, però, a questo punto si chiama Nichi Vendola. Lo ha dimostrato chiaramente ieri: «Non abbiamo bisogno di Monti». Il leader di Sel – che si è opposto a tutta l’azione del governo Monti inteso come la manifestazione diabolica della «destra liberista» – è detentore di una percentuale specifica, che supera nella percezione politica i voti che possiede, all’interno del centrosinistra. Isolarlo, come ha intimato senza mezzi termini Monti a Bersani, è un’operazione troppo invasiva. Convincerlo ad accettare di governare con Casini e gli uomini di Montezemolo è un’opzione di ingegneria politica ardita. Insomma, se Bersani è prontissimo, è Nichi adesso ad essere incazzatissimo.