Lungi da noi il volere insegnare il mestiere a Susanna Camusso, matrionesca segretaria del sindacalismo cigiellino. Le ultime tensioni con Matteo Renzi, che l’ ha accomunata al Presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, sono però un campanello d’allarme da non sottovalutare, non solo per gli usurati ritualismi della “concertazione”, data per spacciata dal Presidente del Consiglio, ma per la stessa tenuta del sindacato, per la sua legittimità a rappresentare gli interessi organizzati dei lavoratori.
I vertici sindacali – inutile nasconderlo – assomigliano sempre di più ai vecchi apparati partitocratici, usurati da un potere senza rappresentatività, incalzati da nuove figure carismatiche (nella Cgil è Maurizio Landini, il segretario dei metalmeccanici, l’astro nascente), delegittimati da forme di protesta autonome e non assimilabili.
Lontano dagli eccessi classisti, che ne avevano segnato l’ascesa negli Anni Sessanta-Settanta, ma non pienamente interno alle problematiche di un’Italia che chiede chiare indicazioni sulla via del cambiamento degli assetti produttivi e normativi, del ruolo della Pubblica Amministrazione e dei servizi, della formazione e dell’organizzazione del lavoro, il sindacato viene visto come corresponsabile, insieme alla Confindustria, della crisi che ha spazzato il sistema produttivo italiano.
Le indecisioni e le ambiguità (anche su temi “brucianti” quali la riforma delle pensioni, le delocalizzazioni, i rapporti con l’Europa) che hanno caratterizzato il rapporto tra Cgil-Cisl-Uil ed i governi via via succedutisi negli ultimi anni nascono non solo dalla vecchia tara del “collateralismo” quanto soprattutto dalle debolezze culturali delle storiche confederazioni di centro-sinistra, sempre impegnate a difendere l’esistente e dunque sempre più deboli nell’affrontare una realtà in continua trasformazione, rispetto alla quale sarebbe doverosa una maggiore apertura e spregiudicatezza.
Ha dunque buon gioco Renzi a cavalcare l’onda di polemiche che nascono da ampi settori dell’opinione pubblica, con cui il sindacato non riesce più a dialogare, trincerandosi dietro la lesa democrazia, la rappresentanza negata degli interessi, la partecipazione violata dei lavoratori.
Più che di slogan ci sarebbe bisogno di una nuova spinta propulsiva, che lasciasse alle spalle il burocratismo, gli apparati, le rendite di posizione, gli accordi sottobanco, riportando le Confederazioni a parlare con chi lavora, avendo quale priorità la difesa degli interessi nazionali, interessi che sono , oggi più che mai, produttivi, occupazionali, sociali ed economici.
L’attendismo che ha segnato gli ultimi anni non paga più. Si sta anzi dimostrando controproducente per la stessa tenuta del sindacato, ormai a rischio “rottamazione”. Da qui l’invito, che arriva da più parti: riformarsi o perire.