Siamo tutti Prezzolini. Tutti un po’ influenzati dallo spirito del ‘grande vecchio’ del conservatorismo. Nel nostro cuore fluisce il disincanto prezzoliniano. Ci hanno infuso la sfiducia nel homo politicus. A Destra, poi, la diffidenza è radicale; non c’è neanche l’ombra di un leader; manca pure il Renzi di Destra! (cfr. de Turris, Il borghese) Non confidiamo in nessuno; e proprio i leaders di Destra continuano a litigare, giocano con i simboli, rinnegano le amicizie… Siamo, insomma, come Giuseppe Prezzolini, uomini di Destra colmi di pessimismo, assolutamente critici verso la politica.
Chi conosce le lettere di Prezzolini indirizzate a Elio Vittorini? Sono queste pagine dimenticate. Sono lettere del 1947 pubblicate in Nuova Antologia nel 1978. E sono una considerevole espressione della sfiducia verso la politica. Ovvero la sfiducia “di esser italiano” come scrive Prezzolini conducendo una polemica con gli “intellettuali italiani che si conquistano facilmente con uno stipendio o con la speranza di esso.” (Nuova Antologia, pag.211) Che pagine! Prezzolini è attualissimo. Elogia un duro “Togliatti-Starace” e denuncia i consueti intellettuali che frequentano le segreterie dei partiti.
La critica prezzoliniana al sistema politico è estrema, “La politica voglia altri scopi che l’intelligenza (…) e non si cura altro che di raggiungere il suo fine.” (Nuova Antologia, pag. 214) Quindi, per lui, la dignità umana non è rintracciabile nella realtà politica e la cagione sta nell’umanità sfasciata. Prezzolini, studioso dell’uomo, appare come un umanista rassegnato – l’ultimo umanista! – più propenso a fissare principi che tattiche. In lui si figura la visione di una Destra critica, non rappresentata dalle ragioni politiche. Attenta essenzialmente agli ideali, la destra prezzoliniana, mentre tenta un salvataggio degli ideali dell’Occidente, esprime una riflessione sulla rottura tra il patrimonio delle idee e la pratica politica in Italia.
Nella storia di questo intellettuale, i summenzionati motivi sono leggibili già a partire dall’esperienza de La Voce. Nel 1908, Prezzolini denuncia tutto, additando conclusioni morali, senza chiedersi con quale forza politica tentare di trasformare il paese o con quale alleanza salvare il salvabile. Insomma, una critica al costume sociale e politico, con tanti colpi di frusta contro, “la ciarlataneria di artisti deficienti e di pensatori senza reni, la mondanità chiacchierina che trasporta le abitudini dei salotti e delle alcove nelle questioni di arte e di pensiero, il lucro e il mestiere dei fabbricanti di letteratura, la vuota formalistica che risolve automaticamente ogni problema, l’egoismo e la paura di ogni mutamento o di scossa sociale.” ( La Voce, 1908, II)
Il tutto sembra scritto ieri. Il suo discorso pare quello di un uomo non schierato, un uomo impegnato nella difesa delle ‘cose dello spirito’, giacché “Noi sentiamo fortemente l’eticità della vita intellettuale e ci muove il vomito a vedere la miseria e il rivoltante traffico delle cose dello spirito” ( La Voce, 1908, II)
Per questo ci sentiamo prezzoliniani. Abbiamo poche coordinate, ma tracciate chiaramente, e scritte in quella testimonianza morale che fu Intervista sulla destra (1977). Coordinate che rappresentano il motivo per cui stare a destra significa “porre l’accento sull’essere più che sul divenire” (Intervista.., pag. 178) I programmi andrebbero scritti con l’idea di essere; cioè essere uomini per la nazione, essere uomini per la legalità, essere uomini per una più giusta unione europea, essere…
Invece, nella storia della Destra di questi ultimi anni, è decifrabile un’attenzione critica alla categoria del divenire o il divenire come cambiamento in altro o per forza. Prezzolini è affascinante perché rammenta a tutti che l’uomo è immodificabile. Perché denuncia la natura corrotta dell’umanità. Perché resta coinvolto nella sua insistita riflessione morale, “Tutti noi cento volte al giorno ricordiamo ai nostri simili che non sono onesti e gli altri lo ricordano a noi. (…) E la sfiducia generale di tutti verso tutti…” ( Intervista.., pag. 186) E’ la sfiducia di un uomo di Destra che ha concetti che riflettono un pensiero machiavelliano. Ed è la sfiducia che proviamo per il nostro presente. Quella sfiducia per la quale non sappiamo cosa stiamo diventando.
Rileggere Prezzolini per iniettarsi una ‘buona dose’ di ‘pessimismo dell’intelligenza’. Riprendere i suoi libri per capire che è necessario andare oltre la difesa degli interessi di parte e per disporre di un giudizio non partigiano. Questi sono solo alcuni doveri per un uomo di Destra. Questi sono i doveri prezzoliniani del Manifesto dei conservatori (1972) per i quali proporre,“…virtù che fanno guadagnare autorità: ossia il compimento dei propri doveri, l’onestà personale, la capacità di giudizio non partigiano, il mantenimento della parola data, la specchiatezza dei costumi, la coerenza dell’azione con il pensiero, la modestia nella vita sociale.” (pag.53)
In questo momento di smarrimento dei valori, due documenti prezzoliniani sembrano bussole morali. In più, il Manifesto dei conservatori e Intervista sulla destra hanno un carattere comune, forse mai notato dagli studiosi; cioè i due testi propongono – in maniera anti-prezzoliniana!- una visione fiduciosa; o meglio, infine, guardano, con speranza, all’ uomo di Destra, il quale “…è persuaso di essere, se non l’uomo di domani, certamente l’uomo del dopodomani.” (Manifesto.., pag. 47) E’ una speranza questa, per la Destra, che appare scritta anche nelle seguenti parole, “La Destra, giacché non può sperare in un successo in tempi brevi, deve puntare sui tempi lunghi, ricostruendo e affinando la sua cultura – anche politica – invece di esaurirsi nella politica spicciola del giorno per giorno.” (Intervista.., pag. 188) E trascriviamo questa frase di valore mentre i più noti uomini di Destra continuano ad esprimere giudizi partigiani; si rinfacciano le reciproche farse fiuggiane; sembrano incapaci di tornare sulla terra o di uscire dalla politica spicciola; invece, farebbero bene a rileggere, al meno una volta, Giuseppe Prezzolini.