Non tutti sono pronti ad accogliere Matteo Renzi con le canzoncine e i girotondi in stile Corea del Nord. Ci ha pensato la Commissione europea a compensare l’entusiasmo di maestre e politici dimostrato all’istituto scolastico di Siracusa: «L’Italia è un paese con squilibri macro-economici eccessivi» ha dichiarato il commissario Olli Rehn. In soldoni dall’Europa viene chiesto al governo italiano di rispettare il piano di rientro del debito pubblico e di accelerare in termini di produttività: l’Ue stessa si pone come “ausilio” per questo. Dietro questa raccomandazione c’è un “se”: se l’Italia non dovesse rispettare i parametri è già pronta la sanzione dello 0,1% del Pil (circa 1,5 miliardi di euro).
Certo, le critiche all’Italia sono eccessive perché parziali. Lo ha spiegato bene Davide Giacalone su Libero: non solo «i dati a nostro favore sono molti, ma omessi e nascosti» ma la Commissione, tra le altre cose, non nota come il comportamento tedesco (che tiene chiuso il mercato interno) si ripercuota sugli altri Paesi, segno di una approccio non corretto della Germania in un regime di moneta unica.
In ogni caso, però, resta sullo sfondo il piano sul quale il premier italiano non ha ancora esordito: il rapporto con l’Europa. Tutti ricordano le aspettative con cui fu accolto Francois Hollande – quello che doveva riformare l’asse francotedesco in un’ottica solidaristica – rivelatosi poi nient’altro che un bluff. Ecco, le aspettative su Renzi sull’argomento restano in verità più minimali: richiedere una maggiore elasticità a Bruxelles e dimostrare un minimo di autonomia nella definizione di un piano nazionale per la crescita.
Bene, la risposta di Renzi al monito di Rehn? Renziana: «Ora si deve correre, senza scherzare». Tutto qui: come, dove e quando? Non è dato sapere (a parte il mantra «una riforma al mese…» che non sembra aver impressionato i burocrati europei). Al resto – cioè al sodo – ci ha pensato il ministro dell’Economia Padoan, il non-renziano al governo: non solo si dice d’accordo sul monito dell’Ue ma «sul deficit non dobbiamo tornare oltre il 3%» (Renzi diceva il contrario). Quanto al debito, aggiunge, va abbattuto e «non perché ce lo chiede l’Europa ma per noi, per i nostri figli». Per fare questo? Secondo Padoan occorre «rafforzare il programma di privatizzazioni» (Renzi rimproverava Letta al grido «non è il momento giusto per farle»).
Proprio questo dualismo con il suo ministro più importante dovrebbe portare il premier a concentrarsi sul terreno più delicato: la ridefinizione del rapporto con l’Europa. Fino ad ora è stata troppo italiana, fin troppo italiana, la sua preoccupazione: rottamare la vecchia sinistra, il governo Letta, la campagna elettorale permanente e così via. Adesso serve “cambiare verso” proprio rispetto a chi si accanisce – con minacce – a un Paese che con fatica cerca di restare agganciato all’Europa. Ci piacerebbe che Renzi, dopo aver puntato i piedi rispettando le promesse, lanciasse un hashtag del tipo: #OlliRehnstaisereno. Sempre che Padoan non corregga il tiro: #OllitranquilloMatteostavasoloscherzando
@rapisardant