L’ex presidente della Regione siciliana Raffaele Lombardo è stato condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa. La condanna è pesante: sei anni e otto mesi, interdizione perpetua dai pubblici uffici e un anno di libertà vigilata. La sentenza è arrivata ieri pomeriggio, dopo cinque ore di camera di consiglio. A firmarla il gup Marina Rizzo del tribunale di Catania. A settembre la Procura guidata da Giovanni Salvi aveva chiesto dieci anni di carcere. Contestualmente Lombardo è stato assolto dall’accusa di voto di scambio. L’inchiesta è durata quattro anni e ha coinvolto pure il fratello Angelo, ex parlamentare dell’Mpa, che è stato rinviato a giudizio per entrambi i reati. La prima udienza è fissata a giugno.
Emozionata la replica dell’ex governatore che ha atteso il verdetto con al fianco la moglie. «Sono stato condannato da un contesto creato dalla grande stampa. Le cose che mi vengono addebitate sono assurde e ridicole». Guardando al passato, Raffaele Lombardo si pente di una cosa soltanto: «Non rifarei il candidato presidente della Regione, non lo auguro neanche al mio peggiore nemico. Rifarei il rito abbreviato e dopo che per 4 anni, comprese requisitorie e arringhe difensive per più di 30 ore, si è parlato di tutto, alla fine pare che questa sentenza sia fondata su un’intercettazione ambientale nello studio di Mario Ciancio (editore de La Sicilia, ndr)».
Lombardo è dunque il secondo presidente della Regione siciliana condannato per reati di mafia. Prima di lui l’Udc Salvatore Cuffaro, attualmente recluso a Rebibbia per favoreggiamento. Altri due presidenti – Giuseppe Drago e Giuseppe Provenzano – erano stati condannati per peculato. Vincenzo Leanza invece è morto prima di conoscere la sentenza del processo per truffa che lo vedeva coinvolto. Qualcuno la chiama la “maledizione di palazzo d’Orleans”, sede a Palermo della presidenza regionale.
Ma sono quelle due condanne per mafia a gettare un’ombra su più di undici anni di gestione del territorio isolano. Due vicende penali che hanno avuto degli effetti immediati sul tessuto politico. In primo luogo lo scioglimento anticipato – nel 2008 e nel 2012 – dell’Ars. Fatti che hanno aperto le porte alla giunta di centrosinistra targata Rosario Crocetta, presidente che dal canto suo ha riempito l’agenda amministrativa di proclami antimafia e di “denunce in Procura”.
Ma in Sicilia il confine tra mafia e Antimafia è assai sottile. La presenza nella giunta Cuffaro del pm Agata Consoli e quella di Massimo Russo, del team di Paolo Borsellino, e di Caterina Chinnici, figlia del giudice falciato dalla mafia, in quella Lombardo, riaprono molti interrogativi. L’imbarazzo è tuttavia della politica tout court. La stagione amministrativa del leader autonomista è indice di un clima gattopardesco. Lombardo infatti ha flirtato sia con il centrodestra e con la sinistra. È stato eletto in coalizione con il Pdl, ma tre quarti della sua azione di governo è stata al fianco del Pd. Stesse intese a Roma. Lombardo piaceva tanto a Berlusconi quanto a D’Alema. Anzi, è stato proprio l’ex presidente dei Ds il primo a civettare da sinistra con il neonato Mpa, durante il congresso nazionale di Bari nel 2005. Insomma, tutti sono scesi a patti con lui. Tra i big ce n’è solo uno che può, a conti fatti, pretendere la patente di anti-lombardiano doc ed è l’ex ministro dell’Interno e quattro volte sindaco di Catania Enzo Bianco. Lo stesso che oggi però guida il capoluogo etneo con accanto gli epigoni dell’autonomismo.