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Il caso. Il tabù della memoria collettiva, dalle foibe italiane al bombardamento di Dresda

by Luca Steinmann
14 Febbraio 2014
in Cronache
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Dresden, zerstörtes StadtzentrumDresda (Germania) – Italiani contro Italiani. Tedeschi contro Tedeschi. Spagnoli contro Spagnoli. Francesi contro Francesi. Inglesi contro Inglesi.  Se nell’ottocento i nazionalismi portavano alla contrapposizione sciovinista tra i diversi popoli europei, oggi i conflitti sono interni agli stessi popoli. Un tempo in gioco c’erano gli interessi nazionali delle singole nazioni, la supremazia di un’etnia su un’altra, l’indipendenza dal dominio di un oppressore straniero.

Oggi i motivi dei conflitti intranazionali sono molto più astratti: per lo più si tratta di disaccordi ideologici su ciò che debba o meno essere considerato patrimonio comune. Per esempio le ricorrenze e le commemorazioni che per alcuni sono patrimonio comune, per altri sono solo un pretesto per accusare chi commemora di cercare di tirare acqua al proprio mulino.

I danneggiamenti ai monumenti in memoria dell’esodo istriano-dalmata avvenuti a Roma e Venezia di cui abbiamo assistito recentemente disegnano bene questo scontro: Italiani che se la prendono con monumenti dedicati ad Italiani per attaccare indirettamente altri Italiani. Un circolo vizioso che si chiude e si esaurisce in sé stesso che ha come fine quello di evitare che il ricordo dei massacri delle foibe diventi un’icona che superi la destra e la sinistra per rientrare nell’insieme di valori che formano un senso di stato e di patria universalmente condiviso. No. A ciò si preferisce l’odio tra connazionali. Tutto ciò, purtroppo, non è solo made in Italy.

A Dresda, in Germania, il 13 febbraio di ogni anno si commemorano le 130000 vittime civili causate dalle bombe angloamericane del 1945. Tale carneficina è un argomento a cui i cittadini di Dresda sono ancora molto sensibili, per cui tutti gli anni si recano numerosi al Heidefriedhof, il cimitero alle porte della città in cui sono sepolte migliaia di vittime di quell’attentato. Al suo interno vi sono statue, lapidi ed un’enorme lastra marmorea sulla quale vi è incisa una grande scritta commemorativa. Proprio questa, alla vigilia del 13 febbraio di quest’anno è stata presa di mira da alcuni individui incappucciati che nella notte l’hanno imbrattata di vernice rossa. Tedeschi che se la prendono con un monumento dedicato a Tedeschi per colpire altri Tedeschi.

Prendersela con i morti è un modo per attaccare altri Tedeschi che vorrebbero che il ricordo dell’apocalisse di Dresda diventasse un valore comune, per far sì che un tale evento non si ripeta mai più. Questi cittadini, per ricordare, marciano ogni anno per il centro cittadino in fila da cinque persone con striscioni, bandiere, fiaccole e corone di fiori. Durante il percorso vengono ricoperti di insulti dai contromanifestanti che, dai lati della strada e separati da un cordone di poliziotti, imprecano contro chi manifesta: “Tedeschi di merda, cosa pensate di riprodurvi solo tra di voi? I morti non sono vittime ma assassini, voi tedeschi siete responsabili della Seconda Guerra Mondiale”. Peccato che chi urla è più tedesco che mai. Biondi e dai lineamenti teutonici, i contromanifestanti nell’aspetto sono esattamente uguali a chi marcia. Tedeschi che insultano Tedeschi di essere Tedeschi. Un copione già visto a casa nostra che in Germania assume un sapore ancora più amaro, perché in questo caso non si tratta di impedire che una ricorrenza diventi un valore collettivo, ma di far si che un valore collettivo già esistente venga a meno. Molti cittadini di Dresda che fino a qualche anno fa partecipavano in massa alle commemorazioni pubbliche, infatti, negli ultimi dieci anno stanno smettendo di farlo per evitare di essere tacciati di estremismo.

Commemorare e ricordare vittime innocenti è da estremisti e pertanto da contestare. Da Dresda, dove si cerca di boicottare i cortei commemorativi, a Milano, dove si cerca di occupare la piazza da dove storicamente parte la fiaccolata in memoria di un’altra vittima innocente, Sergio Ramelli.

Come si può fare perché la sincera volontà di ricordare non venga criminalizzata? Come ci spiega Felix Menzel, direttore del quotidiano tedesco BlaueNarzisse, “quando le commemorazioni pubbliche diventano un pretesto per fare la guerra, allora è più dignitoso che ognuno di noi si prenda l’impegno di commemorare privatamente, da solo o con pochi intimi. Per non scordare e per onorare chi non c’è più ricordando silenziosamente. In stillem Gedenken”.

@barbadilloit

 

Luca Steinmann

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