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Foibe. Micich (Museo di Fiume): “La storia si difende anche preservando i documenti”

by Martina Bernardini
6 Febbraio 2014
in Cronache
0

micichMarino Micich, figlio di esuli della Dalmazia, è direttore del Museo Archivio Storico di Fiume, nato grazie alle donazioni degli esuli e mantenuto in vita dalle stesse. Micich lo abbiamo incontrato in occasione di una conferenza che si è tenuta presso l’Istituo Alberti di Roma, su iniziativa degli studenti. “Bisogna iniziare proprio dalla scuola a parlare di storia – racconta – E’ importante che i giovani si formino una coscienza attraverso lo studio, e soprattutto attraverso lo studio della propria storia di italiani. Un popolo è popolo quando conosce la storia della collettività e quando è in grado di apprendere la lezione che quella storia vuole trasmettere. In questo caso parliamo di Foibe, dei massacri perpetrati contro gli italiani della Venezia-Giulia e della Dalmazia, dell’esodo forzato di oltre 300mila italiani da quelle terre ad opera degli jugoslavi comunisti dopo la Seconda Guerra Mondiale. Solo conoscendo queste pagine, anche se brutte e tristi, possiamo diventare uomini migliori”.

Marino Micich è nato nel 1960 nel campo profughi del villaggio Giuliano-Dalmata a Roma. Città che lo ha salvato. Perché “a Roma – ci racconta – l’accoglienza, rispetto a molte città del Nord, è stata migliore. “Noi figli di esuli siamo cresciuti insieme. Siamo stati più fortunati anche di quelli che sono cresciuti in ex manicomi o caserme per tanti anni. E siamo stati fortunati anche perché eravamo una comunità”.

Raccontare questa pagina tragica della storia d’Italia, per Marino Micich è l’unico modo per rendere “un doveroso omaggio a quegli italiani che hanno pagato oltremodo il prezzo di una guerra persa da tutto il Paese, uccisi barbaramente, senza processo e senza giustizia”. E loro, il prezzo di quella guerra persa da tutta l’Italia, non l’hanno pagato solo con la vita, ma anche con l’oblio, visto che “per molti anni si è voluto tacere su questa vicenda”. Un oblio che diventa “dannazione”, la “dannazione giornaliera dei nostri padri e di noi figli che siamo nati nei campi profughi tanti anni fa”, racconta  Micich.

Parlando di dannazione viene in mente la damnatio memoriae dei Romani, la pena con cui si ordinava la cancellazione della memoria di una persona, e si distruggeva qualsiasi traccia potesse tramandarne il ricordo ai posteri. “E’ proprio questo il meccanismo che si è innescato nei confronti degli italiani della Venezia-Giulia, di Fiume e della Dalmazia per motivi ideologici”. Micich, infatti, ha anche ricordato le responsabilità dei partiti comunisti dell’epoca, che “vedevano nella Jugoslavia un Paese progressista – spiega ancora – E anche se avevano commesso dei crimini alla frontiera, si è ritenuto che quei crimini si potessero, se non perdonare, almeno tacere”.

Alcuni passi in avanti sono stati fatti: 10 anni fa, con la legge n. 92 del 2004 si è istituita la Giornata del Ricordo in onore delle Foibe. “Si è aperta una finestra – ha commentato Micich – Quella legge fu voluta e votata dal Parlamento italiano, come a denunciare la strumentalizzazione ideologica che si fa della storia”.

Ma forse non basta. “Bisogna portare avanti altri discorsi e altri progetti, delle politiche precise, iniziate qualche tempo fa, che però fanno fatica a svilupparsi anche a livello ministeriale. Se condivisa e se discussa democraticamente anche dai partiti politici, la memoria può aiutare a creare quel senso di casa comune in cui gli italiani si sentano innanzitutto italiani. Non si può creare una memoria sulle menzogne e sulle omissioni. Bisogna conoscere per poi camminare in avanti”.

Quando si riferisce a politiche precise, Micich fa anche riferimento ai fondi stanziati a favore del Museo di cui è direttore, che dai 100mila inizialmente previsti sono passati a 35mila. Inutile la battaglia in Parlamento del senatore Di Biagio e del deputato Rampelli per ripristinarli, anche solo parzialmente. “Ho inoltrato un comunicato – ci racconta ancora – in cui spiego che è giusto ricordare tutto ciò che riguarda la nostra società civile, e che pertanto è doveroso evitare la discriminazione della nostra cultura. Cultura che passa anche attraverso le parole e il ricordo, ma non solo. Perché – spiega – una volta che saranno morti gli anziani e i vecchi, se non provvediamo a conservare documenti, immagini e fotografie, tutto sarà sparito. La storia si testimonia anche con i documenti. E se un domani il Museo sparirà perché noi figli non ce la faremo più a tenerlo in piedi, e verranno i rigattieri a vendere tutto, cosa diventerà la storia?”.

@barbadilloit

Martina Bernardini

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