Poche ore dopo l’annuncio dell’acquisizione della Chrysler il titolo Fiat è volato in borsa a +16%. Segno che i mercati hanno recepito positivamente la notizia del colosso americano finito in mano all’azienda italiana dopo l’accordo con il fondo Veba. La notizia dell’acquisizione, come era prevedibile, ha occupato l’attenzione dei media per tutta la giornata: al centro le dichiarazioni dell’ad del Lingotto Sergio Marchionne che ha spiegato come «nella vita di ogni grande organizzazione e delle sue persone ci sono momenti importanti, che finiscono nei libri di storia. L’accordo appena raggiunto con Veba è senza dubbio uno di questi momenti per Fiat e per Chrysler». Di fatto, dopo tanto tempo in cui il meccanismo era sempre di segno inverso (aziende straniere acquistavano marchi italiani) l’inizio dell’anno è coinciso con un evento che vede una delle più importanti (e controverse) aziende manifatturiere italiane diventare protagonista in un contesto globale.
Davanti a questo le reazioni da parte del mondo dei lavoratori sono state diverse e di tono attendista. Perché da Marchionne parole nette sul destino della produzione in Italia (ricordiamo come la Fiat ha iniziato l’anno licenziando 174 operai delle aziende dell’indotto dell’azienda di Termini Imerese) non sono state pronunciate. Luigi Angeletti, segretario della Uil, si posiziona tra gli entusiasti: «E’ un evento storico. Finalmente avremo una società globale in grado di reggere i prossimi decenni sul mercato automobilistico mondiale». Secondo il segretario «un’azienda forte, solida dal punto di vista finanziario avrà risorse per investire anche in Italia, vendere su tutti i mercati e garantire tutti i posti di lavoro. L’alternativa sarebbe stata la chiusura di tutti gli stabilimenti»
Anche per Susanna Camusso, leader della Cgil, «l’acquisizione della Chrysler da parte del gruppo Fiat è un fatto di grande rilevanza, anche in ragione delle sinergie possibili e auspicabili sui mercati mondiali, oltre che per il riposizionamento della multinazionale rispetto alle case costruttrici concorrenti». Ma, ha aggiunto, «dopo questo importante passaggio che definisce l’assetto proprietario è indispensabile che Fiat dica cosa intende fare nel nostro Paese, come gli stabilimenti italiani possano trovare la loro collocazione produttiva nel gruppo, così come auspichiamo che la direzione dell’impresa, intendendo con questo la direzione strategica e la progettazione, resti italiana e mantenga una presenza qualificata in Italia».
Decisamente più cauto Michele De Palma, coordinatore Fiat della Fiom:«In queste ore sembrano i botti di Capodanno, ma non vorrei che a noi ci lasciassero solo la puzza di zolfo. Ora la Fiat può giocare a mano libera. La testa del gruppo rimarrà in Italia? La capacità installata di produzione sarà confermata? Avremo finalmente una missione industriale anche per Mirafiori e Cassino? Il governo dovrebbe convocare tutte le parti al tavolo e chiedere garanzie sul futuro degli stabilimenti italiani». Il punto, insomma, resta il destino produttivo del marchio in Italia: porterà Marchionne la produzione di nuove vetture in Italia? Investirà sui laboratori italiani per la ricerca di nuove tecnologie? E, fatto non secondario in termini fiscali, sarà ancora Torino il cuore pulsante dell’azienda?