Vladimir Putin non ci sta a vestire i panni del “signor Niet” (nomignolo con il quale la stampa occidentale definiva Breznev, al tempo della guerra fredda). Nella conferenza di fine anno rispondendo per quattro ora di fila alle domande dei giornalisti ha rafforzato l’immagine di sé come leader forte e conciliante. Ma soprattutto con le tre grazie concesse nell’arco di poche ore ha reagito a chi tende a descrivere la Russia di Putin secondo i vecchi cliché del regime repressivo o della prigione dei popoli.
La grazia all’oligarca Khodorkovsky. La grazia alla cantante delle Pussy Riot. La grazia all’equipaggio di Greenpeace che ha attaccato le navi petroliere russe nell’area dell’Artico.
A volte la grazia è uno strumento più forte della carcerazione. Non in Italia dove amnistie ed indulti si succedono periodicamente ed esprimono l’incapacità dello Stato di difendere i propri cittadini onesti. In Russia il caso è diverso: abbiamo un sistema ormai stabilizzato che non teme più i vecchi signori delle privatizzazioni e forse considera come punture di zanzara, fastidiose ma tutto sommato innocue, le proteste mediatiche delle cantanti pop-porno. E tuttavia sarebbe ridicolo ora se dalle nostre parti i tre soggetti graziati fossero trasformati in novelli martiri ed eroi.
Ricordiamo. Khodorkovsky apparteneva a quella squadra di “oligarchi” che negli anni Novanta, appoggiandosi anche a un flusso di denaro che proveniva da Londra, tentò di fare in Russia quello che le multinazionali fanno nell’Africa Nera: appropriarsi di risorse del suolo e del sottosuolo, approfittando di un vuoto di potere nello Stato. Ma la Russia non era una ex-colonia (e sia detto con amarezza… non era neppure uno Stato debole e diviso come l’Italia) e dalle profondità della sua struttura sociale emerse energica la controffensiva. Gli oligarchi scapparono all’estero o finirono al fresco; il petrolio e gli altri gioielli preziosi di quello scrigno immenso che si chiama Siberia furono riportati nell’ambito della sovranità nazionale.
Che Khodorkovsky non sia un martire della democrazia lo spiega molto bene Pino Arlacchi in un articolo pubblicato qualche anno fa su L’Unità. “Non mi straccio le vesti sul caso Khodorkovsky, e chi lo considera un martire delle libertà è vittima di una disinformazione clamorosa” incomincia il documentato articolo apparso su un giornale non sospettabile di particolari simpatie putiniane e di cui riportiamo un link:
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www.pinoarlacchi.it/it/rassegna-stampa/articoli/347-linganno-khodorkovsky
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Ovviamente gli amici di Khodorkovsky in Occidente attraverso i media dettano le moda e lanciano gli slogan. Inevitabile che Vladimir Putin finisse nel tritacarne dell’immagine per aver affermato con la sua azione politica un concetto elementare: il petrolio russo è dei russi, non degli speculatori di Londra e delle loro sponde.
Le Pussy Riot sono un po’ il simbolo di quella parte minoritaria della società russa che, forse non solo per denaro ricevuto, si manifesta sensibile all’influenza occidentale. Le Pussy, come Madonna e Lady Gaga, vorrebbero far tendenza con le loro provocazioni. Ma riescono solo a fare pessima, inascoltabile musica. Abbiamo cliccato a caso “Pussy Riot” su Youtube.
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Siamo molto vicini alle paranoie del “metal”. Se Putin fosse davvero un dittatore spietato potrebbe mettere nelle carceri la musica delle Pussy Riot come colonna sonora: allora sì sarebbe un torturatore, da far invidia ai servizi segreti più efferati.
Le Pussy Riot pensarono di fare uno show in stile MTV gridando frasi blasfeme nella Cattedrale di Cristo Salvatore. Bambinate del genere sarebbero state punite con la morte se fatte in una moschea dell’Arabia Saudita o anche del laico Marocco, sarebbero state severamente punite se compiute in una Sinagoga. Magari avrebbero lasciato indifferenti i Francesi e gli Inglesi se fossero state compiute a Notre Dame o nella cattedrale di Saint Paul: ma questa indifferenza la dice lunga sulla confusione psicologica e morale degli Occidentali. Sta di fatto che il gesto compiuto nella Cattedrale di Cristo Salvatore non è passato inosservato e la condanna è stata proporzionale al sentimento di rispetto per i valori religiosi che è tipico della Russia del Terzo Millennio.
Ovviamente né la grazia alle Pussy Riot né quella concessa alla pattuglia di guastatori di Greenpeace sono stati atti “individuali”: piuttosto le situazioni personali delle cantanti e dei militanti di Greenpeace rientravano in una ampia casistica di reati minori che sono stati condonati.
Il progetto di legge di amnistia proposto da Putin è stato votato da 446 deputati all’unanimità, come riferisce l’agenzia Itar-Tass. Il testo finale concede l’amnistia a chi viene condannato a reati che prevedono meno di cinque anni di reclusione e per gli imputati di reati minori in attesa di giudizio, incluso quello di “teppismo”, e alle madri di figli minori.
Reati “minori” perché in effetti debole è stata la loro incidenza e tuttavia la carcerazione è scattata nel momento in cui la Russia – nel caso di Greenpeace – ha avuto l’impressione, giusta o sbagliata che sia, di avere di fronte pedine di uno schieramento internazionale avverso. Oggi i militanti di Greenpeace, incluso l’italiano, sono di nuovo fuori: segno che il perimetro dell’area russa si è rafforzato e può procedere a una operazione di “distensione”.
@barbadilloit