La socialista Michelle Bachelet ritorna alla presidenza del Cile, carica che aveva già ricoperto dal 2006 al 2010. Lo fa con un’affermazione netta sulla rivale della coalizione di centro-destra, Evelyn Matthei, sconfitta per 62 a 38 per cento dei suffragi. Ma le percentuali non devono trarre in inganno: Bachelet è stata eletta con poco più di tre milioni e mezzo di preferenze, a fronte di 13 milioni e mezzo di cileni che avevano diritto al voto. In sostanza alle urne è andato solo il 40% dei cittadini.
Non un trionfo, quindi, bensì una mezza sconfitta. Della democrazia cilena, in primo luogo. E poi del centro-destra, presentatosi alle urne con una candidata evidentemento poco attraente per il proprio elettorato, tant’è vero che i votanti per il blocco liberal-conservatore non sono mai stati così pochi. “Il peggior risultato del centro-destra in Cile negli ultimi 20 anni”, come riferisce il quotidiano della capitale, El Mercurio.
In questo scenario tutt’altro che esaltante la ex presidente Bachelet, tornata a Santiago dopo un parentesi all’Onu, agli occhi dei cileni ha rappresentato l’usato sicuro e soprattutto è riuscita a mettere insieme una coalizione composita e ideologicamente piuttosto variegata, la Nueva Mayoria (Nuova Maggioranza) che va dal marxista-leninista Partido Comunista de Chile (di cui fa parte la nota leader studentesca Camila Vallejo), al Partido Socialista della stessa Bachelet, fino a gruppi centristi come PPD e democristiani con il PDC, scolorito erede del glorioso partito anti-golpista degli anni Settanta e Ottanta che fu di Eduardo Frei e Patrizio Aylwin.
Una coalizione spuria, che ora nei primi cento giorni di mandato dovrà approvare – secondo le promesse elettorali, provvedimenti come la legalizzazione dell’aborto terapeutico e le nozze fra omosessuali, oltre all’estensione dell’educazione pubblica e gratuita e la riforma tributaria, con l’aumento delle tasse per le grandi aziende, dall’attuale 20% al 25%, con sgravi fiscali alle famiglie meno abbienti e alle piccole imprese. Mancando alla coalizione di centro-sinistra la maggioranza assoluta, tuttavia, sarà invece impossibile varare la riforma della Costituzione, come annunciato da Bachelet prima del voto.
Insomma, per Bachelet i prossimi quattro anni si preannunciano un percorso in salita. Ma saranno ancor più in salita per la Alianza, alla quale spetterà il compito di raccogliere i cocci di queste elezioni, che hanno totalmente bruciato l’eredita del presidente uscente Sebastián Piñera. Evidentemente le parole d’ordine della Matthei, ex ministro del lavoro di Piñera e prima donna candidata alla presidenza da un centro-destra sempre più liberal-conservatore, non hanno fatto presa sull’elettorato cileno.
Forse servirebbe altro per far tornare alle urne gli otto milioni di cileni che domenica scorsa si sono rifiutati da andare a scegliere tra le figlie dei generali (il padre della Bachelet era generale dell’aeronautica, membro del governo di Allende; quello della Matthei, pure lui generale dell’aeronautica, fu ministro di Pinochet). Ma della tercera posiciòn che negli ultimi decenni ha conquistato spazi importanti nell’America Latina (dal neoperonismo di Cristina Kirchner all’esperienza chavista del Venezuela, dall’Ecuador di Correa alla Bolivia “india” di Evo Morales) per ora in Cile non c’è proprio traccia.