Il sito Boulevard Voltaire ha posto ad Alain de Benoist la domanda: “Crisi del regime, crisi della società o rivoluzione: secondo lei, la Francia è nel 1958, nel 1968 o nel 1788?”. Ecco la risposta del filosofo francese. —————————————————–
Vorrei essere nel 1788 e che venisse un’altra rivoluzione. Vorrei essere nel 1958 e che venisse un altro de Gaulle. Vorrei essere nel 1968 e che venisse un altro sciopero generale. Ma siamo nel 2013 e la storia non fa il bis.
La crisi attuale ha già rovinato molti, senza provocare la necessaria svolta culturale. Non si è ancora pronti a cambiar modo di vita. Si continua a credere possibile la crescita materiale infinita in uno spazio definito. Si scende in piazza, ma tuttora, d’estate, si va in vacanza e, la sera, si guarda la tv. Ciò finirà solo quando gli scaffali dei supermercati saranno vuoti, quando mancherà la benzina e quando lo Stato non pagherà più pensioni e stipendi. Ma ci siamo ancora.
Il clima attuale è certo deleterio come pochi. La destra s’è screditata politicamente, la sinistra si sta screditando socialmente. Parole come pessimismo, esasperazione, diffidenza, collera, avvilimento si sentono ovunque. Ma, come ha detto Dominique Jamet, “diecimila rivolte non fanno una rivoluzione”. La pentola sociale bolle ma non l’acqua non straripa. L’esplosione politica e sociale era un tratto della modernità. La post-modernità è piuttosto epoca d’implosione. Manca il granello di sabbia che blocchi la macchina. Manca la scintilla che incendia la pianura, come diceva il buon presidente Mao.
In Francia, a chi non ne può più, resta da capire che la situazione attuale non si spiega solo con la nullità di François Hollande, l’incompetenza dei “socialisti” (sic) o il lassismo di Christiane Taubira. Siamo alla crisi strutturale del “turbo-capitalismo” finanziario sconnesso dall’economia reale, alla dittatura di mercati finanziari e agenzie di rating, alla chiusura volontaria degli Stati-nazione nella morsa usuraria di un debito impossibile da pagare (finché la Francia dovrà trovare 50 miliardi d’euro l’anno solo per gli interessi del debito, in che cosa potrà sperare?).
E’ una crisi che pone la questione del politico di fronte all’economico, la questione dello stato d’emergenza di fronte alla governance, pseudonimo di gestione del sistema vigente. Davanti a tale crisi, i dirigenti di ieri non erano migliori di quelli di oggi e quelli odierni non sono peggiori di quelli di domani. Perciò non si vede l’alternativa, si vedono solo le alternanze. E non sono sinonimi. Per ora, la cosa più significativa è che tutti i movimenti di protesta o rivolta d’una certa ampiezza ai quali assistiamo nascono a margine o fuori da partiti e sindacati, ormai incapaci d’incarnare o rilanciare aspirazioni popolari.
E’ da notare anche che questi movimenti, originati da una certa protesta (contro il matrimonio gay, contro il progetto dell’eco-tassa) sconfinano subito in protesta generalizzata. In tal senso, i berretti frigi della “Manifestazione per tutti” rispondevano in anticipo ai “berretti rossi”– i berretti che la Convenzione decretò il 18 settembre 1793 “emblema di civismo e libertà”. Perciò oggi la parola d’ordine è: ovunque berretti rossi!