L’articolo di Luigi Mascheroni, La Sinistra che scopre autori e idee della Destra su Il Giornale del 22 novembre, focalizza esattamente l’attrazione fatale e apparentemente inspiegabile che certi scrittori e critici sinistri hanno per il mondo conservatore, reazionario, tradizionale e addirittura fascista. Una attrazione inconfessabile e quindi per non rivelarla in toto l’unico modo è quello di capovolgere i valori, le intenzioni, le idee che esso incarna e rappresenta. Gli esempi portati da Mascheroni sono eloquenti, e ad essi si può aggiungere l’opera di Furio Jesi che riprese autori e opere di cui si occupò per primo in Italia Julius Evola, ad esempio Bachofen e Spengler, per riproporli con una interpretazione opposta e, ovviamente, l’unica valida e accettabile per sempre.
Però bisogna andare un po’ più a fondo. Capire il motivo per cui l’italica intellighenzia di sinistra, ieri e ancor più oggi, si comporta così, perché non riesce ad ammettere che esistano autori “di destra” e un metodo critico che si basa su principi e presupposto non “di sinistra”, accettandolo pur dicendosene contrari. No, lo si denigra e rifiuta accusandolo di falsità e strumentalizzazione, e basta. Questo atteggiamento deriva da una ideologia, una visione del mondo e quindi una mentalità totalitari e totalizzanti che non possono ammettere, addirittura non possono concepire, che esistano punti di vista diversi e opposti ai loro.
Di conseguenza, se inizialmente quando dominava una effettiva e concreta egemonia culturale del PCI che poteva permettersi di ostracizzare autori e idee senza particolari conseguenze,da quando il PCI non esiste più e il partito di riferimento ha mutato più volte nome, ma la mentalità di fondo totalitaria e egemonizzante è rimasta, allora ci si deve comportare in modo diverso. Vale a dire tentare di “recuperare” in ritardo gli autori che una volta si erano disprezzati e respinti. Nulla vieta questo tentativo di “recupero” perché si commenta da sé, ma quel che non si può tollerare è la prosopopea, la saccenteria, lo sprezzo che lo governa al punto di sostenere che l’unica interpretazione valida, corretta, veritiera è quella “di sinistra”, considerando le altre come strumentali e false. Alla base il concetto che un autore può essere accettato del tutto e senza riserve soltanto se considerato “di sinistra” o se si può interpretare e strumentalizzare ”da sinistra”. In tal caso si è con la coscienza ideologica a posto, non ci si deve più vergognare di apprezzare le sue opere o giustificarsi.
L’accusa di “fuga dalla realtà” nei confronti della letteratura dell’Immaginario e comunque dalle opere non impegnate nel sociale e conseguente loro condanna, se l’è inventata la intellighenzia progressista e comunista e Tolkien ne venne incolpato quando negli anni Trenta pubblicò Lo Hobbit (il saggio Sulle fiabe fu la sua replica teorica) e lo stesso gli accadde quando Il Signore degli Anelli venne tradotto da Rusconi nel 1970. L’Italia è stato l’unico Paese al mondo in cui Tolkien venne aggredito in questo modo politico-ideologico dalla cultura dominante, cioè quella di sinistra. Infatti, la struttura mentale totalitaria degli intellettuali progressisti in genere e comunisti in particolare, non riuscendo a inserire nella propria griglia di valori un autore, in questo caso Tolkien appunto, lo rifiutava a priori. Era fuori dal loro orizzonte. L’attuale tentativo di “recupero”è iniziato quando ci si è resi conto dal 2003 con i film di Jackson che si trattava di un fenomeno mediatico e popolare di dimensioni mondiali, uno dei rari su cui la cultura di sinistra italiana non avesse esercitato la propria egemonia strumentalizzante,e si è cercato di correre ai ripari. Ma il solo modo per farlo è stato quello di calunniare i nemici ideologici, sprezzantemente definiti “fascisti”, accusata di ogni nefandezza possibile, ma gli unici che avessero operato criticamente a fondo su di lui e i suoi testi per oltre trent’anni.
L’Italia non è un “Paese normale” neanche in questo. Non si accettano punti di vista diversi e si ricorre ad accuse, calunnie, tesi di comodo, processi alle intenzioni e ostracismi che sono assiomaticamente la vera verità che non si può discutere. Finché ci sarà qualcuno che scriverà e dirà in pubblico, come è accaduto, che l’interpretazione mitico-simbolica è una interpretazione “fascista” secondo i canoni degli anni Cinquanta stabiliti da Gyorgy Lukàcs con La distruzione della ragione, e quindi da respingere senza discuterci su, e sin quando ci sarà chi, non si sa bene da quale pulpito, dirà che destra e cultura sono incompatibili, allora varrà dire che saremo semplicemente tornati al passato, un passato che non si vuol far passare, e che la democrazia in questo Paese non è ancora di casa. (versione integrale di un articolo apparso in forma ridotta su Il Giornale del 26 novembre 2013)