A tre mesi dalla Mostra del Cinema di Venezia, anche a Roma l’Italia sale sul podio e si aggiudica il Marc’Aurelio d’Oro alla VIII edizione del Roma Film Festival: dopo il trionfo di Sacro GRA nella città dei dogi, pure in quella eterna vince un docufilm di produzione nostrana. Il titolo è “Tir”, per la regia di Alberto Fasulo, 37enne di origine friulana e primo vincitore italiano alla kermesse capitolina.
Il volto principale della pellicola on-the-road “Tir” è quello dello sloveno Branko, ex professore universitario, uomo colto, ma triste e solo, che si improvvisa camionista per esigenze economiche. La vita di Branko, fatta di silenzi e solitudine, è infatti tutta racchiusa nell’angusto spazio della cabina del suo tir Scania-Saab. Lontano dalla vecchia casa, Branko abbandona anche i suoi affetti più cari, la sua famiglia, con cui rimane in contatto solo telefonicamente. E solo ogni tanto. Diversamente da prima, quando era un professore, il Branko camionista, che trascorre lunghissime ore da solo in viaggio, con ritmi di lavoro al limite del sopportabile, ha triplicato i suoi guadagni e le sue ricchezze. Ma a quale costo?
Il progetto affonda le sue radici in un lavoro iniziato 5 anni fa. Cinque anni trascorsi sulle strade europee, alla ricerca delle tante storie come quella di Branko, che quelle strade le percorrono ogni giorno. Anche per questo è stata scelta la via del documentario, per raccontare allo spettatore, attraverso l’intimità della cabina di quel tir, la verità e le avventure quotidiane di lavoratori spesso costretti ad uno stile di vita alienante. “Ancor prima che un film su un camionista – ha dichiarato il regista Fasulo – questo è un film su un paradosso. Più che fare un racconto sociologico, m’interessava entrare sotto la pelle del mio personaggio e riprenderlo in un momento di crisi personale, in cui si vedesse obbligato a compiere una scelta non solo pratica, ma anche etica ed esistenziale. La mia ambizione è che il film possa essere letto come una metafora della vita contemporanea e lo considererò ‘riuscito’, solo nella misura in cui saprà parlare a tutti coloro che vivono sulla propria pelle questo paradosso”.
La scelta della giuria, presieduta da James Gray, di premiare questa pellicola ha creato non poche polemiche, come di consueto. Ma il dato parla chiaro: non solo c’è un cinema, quello italiano, che torna ad essere apprezzato anche da grandi nomi internazionali, ma c’è anche un cinema oltre la commedia che spopola e sbanca sempre. E questo cinema, almeno nel 2013, è il cinema che racconta, e lo fa sulla falsariga del documentario. Al Roma Film Festival, infatti, c’era anche “Dal profondo” di Valentina Zucco Pedicini, che ha affidato alla sarda Patrizia il compito di raccontare “il mondo capovolto della miniera”, che la stessa Pedicini ha conosciuto scendendo in quelle profondità per 26 giorni consecutivi.
E così, ancora una volta, quando le basi delle impalcature ideologiche che si sono solidificate nel corso del tempo vengono minate, ecco nascere una nuova cultura “realista”. Forse la terza epoca di un nuovo realismo.