Sarà pure uno spot con tutto l’ambaradam del consumo globale. Mica tanto in frenata, al netto del puro viavai distratto di un canale sull’altro, fra il disvelamento di conflitto generazionale di Arisa contra Simona Ventura in Xfactor, alle propaggini di una notte televisiva mi sono imbattuto in “The Return” di Derrick Rose. Play dei Chicago Bulls che, dopo Michael Jordan, il campione che rivoluzionò le logiche immateriali dello starsystem mediatico e sportivo, vedete procedere a “piccoli passi nell’immaginario”. Pompa, pedala, scivola soffrendo e arriva alla conoscenza perfetto, al sublime sportivo che, da sempre, sopravvive al ricordo istantaneo e diviene gloria ad uso di mondo. Che poi fin dalle prime Adidas “top ten” calzate in un campetto di cemento siam figli della tripla striscia che, quale frenata perentoria sull’asfalto del ritorno, spunta dal tallone delle scarpe di Derrick che incede per fare dono di sé e reincantamento del mondo ad una città e alla gens dei Bulls che, silente, ne attende l’epifania. Molto probabilmente altri ragazzi e ragazze taggeranno il video a Shangai o chatteranno in spanglish. Altro che gli spottoni elettorali de’noantri. I partiti non sono il pop, “D. Rose sì”.