Se già i corrispondenti stranieri a Roma ammettono di faticare a star dietro alla nostra caotica politica interna, come si può commentare – a distanza – le complicate elezioni parziali del Parlamento argentino, che hanno sancito una dura battuta d’arresto per il presidente Cristina Fernandez Kirchner? Si può, ad esempio, far ricorso alla fulminante battuta dell’allora presidente Peròn nel corso di un’intervista con un giornalista straniero. Parlando delle tendenze politiche dei suoi concittadini, il generale sottolineava: «Gli argentini sono al 30 per cento socialisti, al 20 per cento conservatori, un altro 30 per cento è di radicali». E alla domanda del perplesso giornalista: «Scusi, generale, e i peronisti?», così rispondeva: «No, no, peronisti sono tutti quanti».
Il paradosso del vecchio generale descrive perfettamente il risultato di domenica scorsa, quando la classe politica peronista che fa riferimento alla “presidenta” (e alla coalizione Frente para la Victoria) ha subito una cocente sconfitta ad opera della lista – anch’essa peronista – Frente Renovador, guidata dal giovane e rampante Sergio Massa, sindaco di Tigre, ex capo di gabinetto della stessa Cristina Fernandez. Sullo sfondo, relegati al ruolo di comparsa o poco più, gli altri partiti della politica argentina: l’Uniòn civica radical e socialisti, il Pro (Propuesta repubblicana) di Mauricio Macri (che però è leader nella città di Buenos Aires), l’estrema sinistra.
La vittoria di Massa mette fine al lungo impero della famiglia Kirchner, che durava dall’ormai lontano 2003 (ascesa alla presidenza del defunto Nestor Kirchner, marito di Cristina) e terminerà inesorabilmente nel 2015: la “presidenta” tentava infatti di far modificare la Costituzione nazionale, che impedisce di governare per più di due mandati, ma a questo punto le mancheranno i numeri in Parlamento per cambiare le regole. Per cui, volente o nolente, fra un anno e mezzo Cristina Fernandez non potrà più candidarsi.
L’alfiere del nuovo peronismo sarà dunque Massa, quarantunenne di buona famiglia, una laurea in giurisprudenza e una carriera politica con sfaccettature discutibili? Può darsi, anzi molti lo pensano già sin d’ora e qualcuno lo spera. Non l’attuale vice presidente Daniel Scioli, già braccio destro di Nestor Kirchner, che si era fatto da parte per favorire l’ascesa di Cristina. Ora sarebbe il suo turno, però c’è il rischio che nelle primarie informali della grande galassia politica peronista (parlare di partito è abbastanza improprio) gli venga preferito proprio Massa.
Il passato della giovane stella della politica argentina è brillante quanto chiacchierato. Giovanissimo ha cominciato a far politica nell’Uniòn del Centro Democratico, una formazione liberal-conservatore piuttosto lontano dalla dottrina di Peròn. Siamo nel 1990 e un’ala dell’Ucd spinge per unificarsi al peronismo del presidente Menem, che detto per inciso di peronista non aveva più quasi nulla. Massa segue il leader sindacale Barrionuevo e confluisce nel Partido Justicialista egemonizzato dai menemisti. Lavora al sottosegretariato del ministero dell’Interno e in seguito dello Sviluppo sociale. Con l’arrivo del nuovo secolo, mentre l’Argentina sprofonda nella crisi economica più nera, Sergio Massa mette a frutto il matrimonio con Malena Galmarini, figlia di una deputata e di un potente funzionario menemista, diventato poi stretto collaboratore del presidente a interim Duhalde, succeduto al radicale De La Rua dopo le violente proteste di piazza del 2001.
Nel 2005 Massa viene eletto deputato nazionale, ma rinuncia all’incarico per seguire Kirchner al governo, dove si occupa della Sicurezza sociale come capo di gabinetto, diventando nel frattempo sindaco di Tigre, un grosso centro a nord di Buenos Aires dove molti ricchi della capitale hanno casa di villeggiatura. Nel 2009 la rottura: entra in collisione con il kirchnerismo e viene rimosso dall’incarico, dedicandosi a tempo pieno all’attività di sindaco. Massa si avvicina anche alle posizioni del partito Pro di Macri e dell’industriale-politico De Narvaez, ex amici del giro Menem. Cioè un anomalo peronismo liberista, che si fonda soprattutto sulla notorietà e sulla ricchezza del duo Macri-De Narvaez. Il primo, fra l’altro, è stato per molti anni presidente del Boca Juniors.
Sergio Massa lavora alacremente sotto traccia, tesse la sua rete. I dispacci di Wikileaks riveleranno in quel periodo una sua intensa attività di collaborazione con l’ambasciatrice degli Stati Uniti a Buenos Aires. Nel 2010 costituisce con altri fuoriusciti dal Frente para la Victoria una coalizione alternativa, il Frente Renovador, che si posiziona sempre nell’alveo del peronismo, pur situandosi più a destra, soprattutto in materia di economia. E nei giorni scorsi ha raccolto i frutti di tanto lavoro sotterraneo.
Ora ha un anno e mezzo per preparare la discesa in campo nelle presidenziali 2015: come guastafeste nei confronti del candidato “oficialista” Daniel Scioli oppure, addirittura, come portabandiera unico della galassia peronista. Il personaggio piace, “buca” lo schermo e risponde all’eterno bisogno di avere leader forte che manifestano le masse argentine, ma talvolta anche la classe media. Di primo acchito, però, sorge spontanea una domanda: Sergio Massa sarà l’incarnazione del peronismo del XXI secolo oppure un abile trasformista? O, peggio ancora, la quinta colonna dei “gorilla”, come il generale chiamava i gendarmi degli interessi di latifondisti, capitalisti e multinazionali straniere.