La volontaria adesione alla Repubblica Sociale e un compleanno, il diciannovesimo, festeggiato fra le mura di un campo di detenzione francese ad Algeri. È iniziata così la lunga marcia di Pino Rauti, leader e riferimento della destra radicale italiana, scomparso venerdì sulla soglia degli 86 anni nella sua abitazione romana, dove da tempo si appartava ammalato. Tra l’incipit e l’epilogo riposa una storia, personale e collettiva, troppo complessa per essere sintetizzata con dovizia di particolari: gli anni del reducismo, la fondazione del Movimento Sociale Italiano, l’attività di saggista e giornalista, l’incontro con Julius Evola (che Rauti contribuì a dissotterrare dalle macerie della guerra) e l’apertura dell’orizzonte tradizionale, la fondazione di Ordine Nuovo, il rientro nella “casa del padre”, i vent’anni da parlamentare, lo sfondamento a sinistra e il gramscismo di destra, l’infelice segreteria del 1990/91, il rifiuto della svolta di Fiuggi, il mandato da europarlamentare, la nascita della Fiamma Tricolore e del successivo Movimento Idea Sociale.
Una epopea non priva di nere ombre, evidenti contraddizioni, errori marchiani, ma sempre sostenuta dalla presenza di un’anima, di un orizzonte di senso, di una visione fosse essa spiritualista, come impropriamente si disse, e cioè legata ai principi eterni della Tradizione o piuttosto “di sinistra” e cioè sensibile alle istanze sociali ed aperta alle suggestioni ecologiste, anticapitaliste e terzomondiste. Ma in ogni caso rivoluzionaria e, fin da subito, destinata a superare gli angusti limiti del fascismo muovendo in avanti e non rimangiandosi a bocconi la storia (e le storie) con una fame commisurata al bisogno tattico. In questi passaggi e da queste premesse si consumò l’insanabile frattura con le istanze carrieriste della destra in doppio petto, nostalgista e coccardiera, con il trittico “Dio-Patria-Famiglia” appuntato sulla giacca, quella che si dannava, con alchimie e alambicchi di ogni tipo, per entrare nelle stanze del potere nonostante gli insulti ed i “niet” che le piovevano addosso dagli anelati scranni. Celando peraltro in sé i germi del successivo disastro, dell’osceno naufragio pilotato dal “futurista” Gianfranco Fini, accolto, ai funerali dell’antico rivale, con fischi, sputi, insulti ed uno schiaffo, questo sì futurista, andato a segno.
All’opera meticolosa del desertificatore, Rauti oppose la costruzione di una casa traballante, priva di velleità di vittoria e afflitta fin da subito dalla incancellabile tentazione di verificare fino a che punto possa essere scisso un atomo, ma nella quale una nuova generazione è riuscita a trovar rifugio mentre, dall’altra parte, i Fiorito iniziavano la loro bulimica ascesa. Sotto il tetto della Fiamma continuavano a consumarsi ragionamenti, storie e sfide che altrove erano sacrificate sull’altare del Nulla o sopravvivevano, appena sussurrate, nelle periferie del berlusconismo. Quell’esperienza si chiuse presto, poiché la sconfitta le apparteneva a livello quasi epidermico, ma ognuno ne aveva ricavato un indirizzo di orientamento, così come era già accaduto ai rautiani della prima e della seconda ora. Perdersi o avanzare dipendeva, a quel punto, dal singolo ma l’iniziale tratto di strada, così come la mano di colui che lo aveva tracciato, è stato decisivo per tanti. Chi vi scrive è fra questi.
Addio Segretario e grazie.