Dentro la zucca arancione dal volto umano c’è una storia dimenticata. Halloween non è solo la festa del “dolcetto o scherzetto” e dei pargoli vestiti da scheletri che battagliano per le strade lanciandosi farina. Parola proveniente dall’inglese antico, Halloween non significa altro che “la vigilia della notte di Ognissanti”. Richiama l’antichissima festa celtica di Samain. Lo scrittore Alfredo Cattabiani ne ricostruì così la genesi in “Calendario” (Mondadori): “Un tempo, nelle terre abitate dai Celti, che si estendevano dall’Irlanda alla Spagna, dalla Francia all’Italia settentrionale, dalla Pannonia all’Asia Minore, questo periodo di passaggio era considerato un Capodanno: lo si chiamava in Irlanda Samain (Samonos in gallico) ed era preceduto dalla notte conosciuta ancora oggi in Scozia come Nos Galan-gaeaf, notte delle calende d’inverno, durante la quale i morti entravano in comunicazione con i vivi in un generale rimescolamento cosmico”.
Il senso pagano della festività era nel celebrare il passaggio dall’estate all’inverno con la natura che si addormentava, e nel conquistare il favore degli antenati – per i quali si addobbavano le tombe con fiori e si preparavano dolci prelibati – in vista delle prossime attività che avrebbero fecondato la terra.
Importata questa giornata nel Nuovo Mondo dai Padri Pellegrini, Halloween ha rinunciato con la Riforma protestante a onorare santi e morti secondo i dettami della Chiesa romana. Con il tempo le reminiscenze pagane o cattoliche hanno lasciato il passo al profilo trasgressivo, incarnato dagli aspetti carnevaleschi dei travestimenti per baccanali neoedonisti. E il caso ha voluto che si consumassero in occasione di questa ricorrenza le tragedie noir di Meredith Kercher, la studentessa inglese sgozzata a Perugia, e di Michele Lopez, proprietario di uno dei primi pub irlandesi nel capoluogo pugliese, ucciso in seguito ad una rapina.
Senza demonizzare il profilo ludico di una festa che arriva in tempi grigi di crisi, è possibile interpretare queste giornate come un’occasione per riallacciare legami preziosi: raccontare ai bambini le storie di chi non c’è più significa ravvivare una tradizione millenaria di rispetto per le proprie radici.
* dal Corriere del Mezzogiorno Puglia – Corriere della Sera