Un pezzo d’Italia che se ne va e uno che ritorna. “Che strano chiamarsi Federico” è forse uno degli ultimi pamphlet, diretti da uno degli ultimi padrini del cinema italiano della Golden Age (anni 70’-80’), Ettore Scola. Mastroianni, Sophia Loren, Vittorio Gasman, Nino Manfredi, Alberto Sordi sono solo alcuni dei Grandi diretti dal Maestro che compaiono in questo documentario.
Ettore Scola, regista, produttore e cineasta che ha dedicato infine, con i suoi 80 anni passati, un “Amarcord” al Signore degli Amarcord: Federico Fellini, genio della macchina da presa che frequentava Julius Evola per comuni interessi culturali. Il docu-film è stato presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia. Un omaggio del regista all’amico più anziano di lui di circa dieci anni che non ha mancato di emozionare gli spettatori presenti nella laguna, con immagini dell’epoca e con una sana componente ironica del cinema orientato, perché la figura di Federico Fellini, a venti anni dalla morte, è del tutto attuale, un classico, intriso di “storie nella storia”. E perché ancora le foto di repertorio utilizzate mettono in scena un mondo cinematografico italiano inarrivabile.
Passano sullo schermo gli esilaranti provini di Alberto Sordi, Ugo Tognazzi e Vittorio Gassman per il Casanova. Passa Anna Magnani e lo stesso inedito Federico Fellini nel ruolo di San Giuseppe nel film L’amore. Ma la cosa più sorprendente è la ricostruzione davvero felliniana fatta da Scola del rapporto prima del regista di Amarcord e poi di se stesso con il Marc’Aurelio (giornale satirico italiano fondato a Roma il 14 marzo 1931 da Oberdan). Il loro incontro, nei primi anni Cinquanta, proprio nella redazione della rivista; le loro visite “di piacere” sui set dei rispettivi film; i teatri di posa di Cinecittà, il Teatro 5 e altre analogie tra i due registi (entrambi ottimi disegnatori). E poi tutto un miscuglio di fiction e immagini di repertorio con la guida di un professore (proprio come in Amarcord) che ricostruisce, come dice lo stesso Ettore Scola, Fellini come un grande Pinocchio che, per fortuna, non è mai diventato ”un bambino perbene”.
Il film ha ottenuto il premio Jaeger-LeCoultre Glory to the Film maker. La fotografia buia ricorda tanto il “c’eravamo tanto amati” opera chiave di Scola, ed è un diretto “richiamo affettivo” alle immagini legate al Fellini che ricalcava, tra le ombre della capitale, i personaggi più curiosi e “strambi” della Dolce vita romana. Alla premier del film ha voluto partecipare il Presidente Giorgio Napolitano, che, la generazione 80’ ricorderà, faceva parte del governo ombra del Pci di Occhetto insieme a Scola, quest’ultimo con delega ai Beni Culturali. Ma il racconto di quegli anni, così come ripreso dall’armadio personale dell’autore romano, non poteva prescindere dai suoi lavori cinematografici con i rimandi diretti ai must “brutti, sporchi e cattivi” a “La Famiglia” e “una giornata particolare” film che nel 1977 valse a Scola la quarta nomination agli oscar come miglior film straniero.
“Che strano chiamarsi Federico” vuole essere un omaggio al suo “amico-ispiratore” Fellini, che si godrà molto probabilmente da lassù, l’ennesimo suo successo “indiretto” già in programmazione oltre oceano. Per la serie “tutto il resto (ossia il cinema italiano actual) è, ahimè diventato, noia”…
@barbadilloit