Quest’estate ho portato i miei amici di Bologna e Domodossola a Taranto. Ed una sera, passeggiando per i vicoli di Cittá Vecchia, abbiamo incontrato la Toffa, giá, proprio lei, la iena (e mai nome fu piú azzeccato, dato che le iene sono solite sghignazzare sui cadaveri) che ieri sera ha trasmesso urbi et orbi un servizio strappalacrime sul dolore di Taranto, sui bimbi ammalati di tumore, e sul binomio lavoro/salute, commuovendo l’intero paese. Ma, strano, non ricordo avesse mascherine, non la ricordo disperarsi o essere preoccupata. L’ho vista tranquilla, bella, divertirsi, come é giusto che sia per una ragazza una sera d’agosto. Non credo sia rimasta a Taranto solo 2 ore per fare il servizio per il suo programma.
Mi avrebbe fatto quindi piacere se di Taranto avesse raccontato anche il coraggio, se avesse raccontato il Castello Aragonese, se avesse raccontato l’eroismo dei tanti che in silenzio, giorno dopo giorno, lavorano e si sbattono per dare un futuro diverso ai propri figli. Mi avrebbe fatto piacere se avesse raccontato che potrebbe (ed uso volontariamente il condizionale) esistere un altro modo per provare a risolvere la situazione, e che forse chiudere lo stabilimento, oltre ai danni immediati in termini di occupazione, potrebbe, e uso il condizionale anche qui, portare alla chiusura della Cittá, facendo di Taranto un deserto postindustriale da film di fantascienza di serie b.
Un’altra Taranto c’é, é possibile, e sarebbe stato bello raccontarla in tv. Ma quante sarebbero state le condivisioni su facebook? Troppo poche. Ed allora meglio diventare eroi per una sera, convincersi di essere gli unici detentori della veritá e sbattere il mostro in prima serata. E ieri, se non lo avete capito, il mostro non erano i Riva, il mostro era Taranto.
@barbadilloit