“Ne sono convinto, è una forma di educazione civica al servizio della comunità, di disciplina, di attenzione al prossimo e rispetto per se stessi e per gli altri che potrà avere effetti molto positivi”. Con questa frase il leader della Lega ha annunciato la sua proposta di legge per il ripristino del servizio di leva.
Che una forma di servizio per la comunità sia di stimolo per l’affermazione di preziosi valori civici collettivi è fuori discussione, anzi lo prevede la stessa Costituzione, ma la domanda che si pone il cittadino comune è: si tratta della strada giusta?
Ormai quotidianamente si legge e si impara di ragazzi che vandalizzano beni comuni, che picchiano professori a scuola, di adolescenti che usano il coltello per ferire coetanei mentre filmano il tutto da postare sul web. Siamo sicuri che basti un periodo di naia per riportare il “cittadino maleducato” sulla retta via?
Tra le motivazioni che sorreggono tale proposta esiste quella che alla gioventù di oggi manca completamente il senso dell’autorità, della subordinazione, che si bea di diritti ma è ignorante in materia di doveri. In effetti, in una struttura che si basa sul rispetto dell’autorità la naia svolgerebbe ancora una ruolo di ripristino di tale concetto, cosi come del senso della disciplina.
Tuttavia, ancor prima di analizzare i costi economici di una tale proposta, personalmente farei però un passo indietro e prenderei in considerazione l’humus sociale in cui i giovani di oggi si muovono: c’è il rischio che i futuri coscritti arriverebbero al periodo di servizio senza essere passati attraverso nessuna forma di controllo sociale. La famiglia, la società, la scuola che hanno fatto per “indirizzare” correttamente ogni giovane alla vita in comunità prima di arrivare a questo ulteriore step?
E qui si apre la prima crepa: i proponenti assegnano alla leva obbligatoria la funzione di raddrizzare giovani virgulti cresciuti quasi senza regole. E’ questa la funzione della naia? E’ questo il ruolo delle Forze Armate?
Un tempo un giovane cresceva in un ambiente dove la famiglia, la parrocchia, la scuola svolgevano una funzione educativa e di formazione, ancorché nel medesimo ambiente di vita. Tutti marciavano nella stessa direzione. Se il prete parlava di problemi del ragazzo con i genitori questi lo ascoltavano; se un professore dava un cattivo voto per impreparazione ad un alunno questi “prendeva” il resto quando giungeva a casa; se un adulto rimproverava un ragazzo questi aveva il secondo dai propri genitori. Nessun genitore si sarebbe mai sognato di andare a scuola a prendere a schiaffi l’insegnate per un brutto voto al proprio “pezzo di cuore”, nessuno avrebbe accoltellato il vicino per aver rimproverato il figlio per comportamenti scorretti al volante di un auto.
Nel venir meno tutto il precedente sistema di controllo sociale, la proposta sarebbe quella di affidarla ai militari: stiamo forse parlando di difesa della Patria? Non credo. Stiamo invece parlando di formazione civica del cittadino.
Siamo sicuri che un ragazzo abituato a far sempre e comunque di testa sua, anche se costretto a sottostare ad alcune regole, apparentemente soltanto fine a se stesse, finisca di capire ed accettare quelle regole se poi una volta terminato il periodi naia ritornerebbe nel humus che aveva lasciato soltanto pochi mesi prima? Siamo sicuri che gli sia rimasto qualcosa o che invece quel periodo sia vissuto come una coercizione gratuita e perdita di tempo?
Negli ultimi 20 anni i militari italiani si sono ridotti drasticamente di numero, sono diventati professionisti, sempre di più sono usciti dalle caserme per addestrarsi ed essere impegnati in missioni militari, spesso di combattimento, in territori esteri. L’esercito di professione richiede personale stipendiato, addestrato, equipaggiato di un armamento allo stato dell’arte per non essere sopraffatto in zona di combattimento. Chi avrebbe il compito di addestrare queste nuove reclute? E poi, a far che cosa? Vivere secondo determinati orari, farsi barba e la branda ogni mattina, marciare senza sosta e ramazzare il cortile della caserma? Sparare per qual fine?
Diventare professionisti richiede anni di addestramento e preparazione e non penso che la finalità sia quello di farne dei guerrieri.
Va da se che in una visione come quella della Lega organizzare una struttura “parallela” a quella militare con il compito di (ri)formare civicamente i giovani non si potrà certamente prevedere il “prelevamento” di personale dai compiti operativi o supporto operativo per fare da balia a giovani promesse. Oltre ad un complesso sistema di accoglimento (necessarie nuove infrastrutture), vestizione, sussistenza, alloggio, pagamento diaria (non vorremmo certamente lasciarli senza un piccolo compenso quotidiano per piccoli svaghi…), ecc., esisterebbero i costi del personale addestratore. Insomma fondi ingenti per un settore, la Difesa, per il quale è sempre più oneroso stare al passo dei tempi, essere in grado assicurare la missione di difesa degli interessi nazionali laddove necessario e per la quale già esistono insormontabili problemi economici ad assicurare il mantenimento delle capacità operative per coloro che sono definiti “la riserva”.
Forse meno complessa da organizzare, che porterebbe un diretto impatto sulle attività della collettività ma altrettanto dispendiosa economicamente sarebbe invece l’affermazione di un servizio civile, inteso a “responsabilizzare” i ragazzi che potrebbero però verificare con mano e direttamente il proprio impegno verso il “vicino di casa”, stimolare insomma quel senso di civitas della cui mancanza è proprio quello di cui si lamenta il premier leghista (ma non solo).
Lanciare quindi la proposta di legge senza prevedere da dove provvedere una adeguata dotazione finanziaria significa, specie in un momento come questo di estreme limitazioni, solo propaganda elettorale, una promessa che semplicemente non si è in grado di mantenere, che risolve un problema sentito ed esistente con la ricetta sbagliata.