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Pare abbastanza chiaro come l’uomo liquido, post moderno, palesi un grande stato di confusione sul senso di quadratura, di risolutezza. I nostri lettori hanno, per la maggior parte, una retrospettiva tradizionalista, quindi sarà semplice cogliere il punto: l’uomo (e la donna) devono essere risolti, quadrati, con una identità netta, ed in buona sostanza, una capacità di stagliarsi nel divenire senza cedimenti. Tentennamenti.
La fine della cultura cattolica e cristiana nel nostro paese e in tutto l’occidente (ci si affidava a Dio nel peccato e nelle virtù), ha riportato a galla, con i relativi aggiornamenti, tutta una serie di tematiche filosofiche classiche; fioccano i libri e i corsi sullo Stoicismo. La resilienza impone un atteggiamento dunque controllato, pacato, determinato, forte.
Spicca in questa nuova religione laica, per l’appunto un po’ stoica (non farsi trascinare dagli avvenimenti di un mondo in continua trasformazione), un po’ epicurea (il mercato come limitato e moderato accesso ai piaceri e al comfort come assenza di dolore), il finalismo di un essere umano pronto al passaggio definitivo all’alveare tecnico di jungeriana preveggenza.
Tutto questo stona, ovviamente, con la realtà delle cose poste fuori dall’alveare, le cose del mondo, fatto ancora di contrasti e conflitti, di carne e sangue, di orge di potere, carneficine, genocidi. La realtà del mondo è, tutto al contrario, ancora molto eraclitea. Polemos la domina. Che, stoicamente, tutto torni ad un Logos è affare dei saggi più che dei venditori di false speranze, diete standard per anime seccate. Inutilità di un’editoria gonfia di marketing e nulla.
Mi sovviene così, di aver visto in gioventù uno spettacolo teatrale di Moni Ovadia, sul tema della pace; egli molto argutamente criticava l’uomo greco, quello del mito, quello omerico. L’uomo dorico, insomma. Agamennone, Menelao, Achille. Ma lo stesso Ulisse. Uomini ricolmi di troppi sentimenti: rabbia, pianti, strepiti,orgoglio, atti di violenza, di umanità e perdono, denti stretti, lacrime, sangue, amori sfrenati, manie, e al tempo stesso volontà incrollabile, una capacità indomabile di sfidare fato, Dei e uomini.Di porre a riposo il cuore.
La guerra, per Moni Ovadia, è quindi causata da questo tipo d’uomini. Così tanto, per lui, animaleschi, irrazionali, in preda a loro stessi, e alle loro feroci esistenze. Così poco resilienti. Razionali. Umani. Addomesticati.
Caso vuole che il popolo di cui Ovadia condivide le radici, pure nel terzo millennio, stia appunto in corsa per la conquista irrazionale e sanguinaria di un vasto impero regionale, fondando la propria rabbia su sentimenti tipicamente mitici ed “animaleschi”. Il punto ironico, è che l’occidente razionale, neostoico, realista e resiliente ne appoggi moralmente ogni azione in nome della realizzazione tecnocratica del proprio chiudersi alle medesime cose del mondo.
Era forse questo il senso del “non volere un mondo ben costruito”? A ben vedere più avanza il programma di trasformazione dell’essere umano in una delle stesse merci all’interno del razionalissimo mercato delle merci, più prepotente riemerge il tema rivoluzionario-conservatore, prettamente nietzscheano, della tragicità della vita. Tutti così tristemente infelici verso l’alienazione definitiva, ammaestrati a non vivere per non morire, tutti così inconsciamente anelanti ad una vita degna di essere vissuta.
E’ un filone, quello dorico, arrivato alle nostre più recenti generazioni di ribelli, fino ad avere la fisionomia ultima di Tyler Durden, e che in questo ultimo decennio si è come assopito, nella dialettica woke vs trad così facilonamente incastonata nella effimera vita democratica.
C’è un po’ di rimpianto nel dover certificare la mancata affermazione artistica di quel nichilismo attivo che in Fight Club emergeva dirompete verso il grandissimo pubblico. E che in qualche modo riportava la lucida follia omerica nei nostri tempi fatti, di razionalismo economico e palliativi per anime in decomposizione.
Giacomo Petrella