“Ciao vecchio mio e in bocca al lupo. Un giorno ci rivedremo da qualche parte”. Fu questa l’ultima telefonata del Perro, come un po’ tutti chiamavano Roberto Perrone.
Quel giorno io smettevo di essere un dipendente del Giornale, dove lavoravo da quasi quarant’anni. Lui omise di dire due parole che aveva in canna, ma per discrezione tenne per sé: in cielo. Forse sapeva di essere già malato.
Se n’è andato un anno fa, lasciando il vuoto che, solitamente, trascina dietro di sé una brava persona e un giornalista di prestigio. Perché questo fu fino all’ultimo. Per tutte le pagine del “Viaggiatore goloso”, che erano diventate la sua ragione di vita. Coniugava gastronomia e football, Giornale e Corriere, culle indimenticate fra le quali professionalmente ciondolava, distribuendo articoli che diventavano racconti. Curiosi e appassionati.
“Bisognerà pur dare alla gente qualche indirizzo giusto per mangiare un po’ come Cristo comanda”, ripeteva Perrone ogni mercoledì alla consegna del “pezzo” settimanale di un pagina ricorrente e consuetudinaria. Mai noiosa. Mai normale. Conosceva tempi e ritmi fin troppo bene ma goliardicamente se ne infischiava abbastanza. E così fioccavano le telefonate tra noi. Io ricordavo a lui quello che lui sapeva già e fin troppo bene. Lui ricambiava con la consueta simpatia. “Arrivo sempre tardi, vero” diceva guascone. Seguiva risata di entrambi.
Io, che volevo portarmi avanti col lavoro; lui, che faceva finta di confondere il tempo. Il destino purtroppo non si è confuso con lui. Ha giocato d’anticipo. E ci ha rubato un bravo ragazzo. Un giorno ci rivedremo, Robi.
Ma non ti offendere se aggiungo… il più tardi possibile.