E’ un discorso di alta cultura politica (si va di etimo, di polis) quello che Pietrangelo Buttafuoco, neopresidente della Biennale di Venezia, ha tenuto in occasione della presentazione dei festival di Biennale Teatro, Danza e Musica.
Buttafuoco ha puntualizzato, al termine del suo intervento, il senso della sua Biennale, una mission improntata al dialogo e con chiarezza ha affermato “Questa è una casa che ancora una volta rinnova il suo patto con la Bellezza, rinnova il suo patto con la libertà, rinnova il suo patto di fabbricare ponti attraverso i quali i popoli da tutte le distanze si ritrovano: nessuna chiusura, solo apertura o piuttosto riaperture, quindi ponti affinché il senso stesso dell’Arte possa essere il luogo dello spirito critico e della libertà”. Messo dunque il punto alla richieste di chiusura dell’israeliano Padiglione del Genocidio, firmata da settemila artisti e inviata a inizio marzo alla Fondazione Biennale, Buttafuoco accoglie e fa suo il percorso tracciato da Roberto Cicutto.
Un percorso con due direttive di senso: apertura e innovazione, binomio che è già dentro la personalità e la professionalità di Buttafuoco. Intellettuale capace di felice strabismo critico, Buttafuoco porta alla Biennale il suo bagaglio di passioni (il teatro e la filosofia), di esperienze (ancora il teatro, la scrittura e la ricerca), di visioni e di afflato religioso. Così evoca il dèmone del teatro, il dio Dioniso, i cui riti sono ancestrale ed edonistico trabocco di corpi, suoni e inni. Definisce lo spettacolo “quell’esibirsi tra i vivi”, mette insieme capocomico, lettore, spettatore, ascoltatore e pubblico nel “patto sempre sotterraneo, segreto: <<Fermati, attimo: sei bello˃˃. E nell’attimo che è bello si incontra l’Assoluto, si rappresenta quella fugacità che compete nella scienza esatta di una disciplina difficilissima: la Bellezza”. La Bellezza come disciplina.
Anche dello spirito, e mentre fa risuonare la lezione di Franco Battiato di “L’ombra della Luce” tocca di fioretto il tema della guerra per opporvi il progetto teatrale “Niger et Albus” di Gianni Forte e Stefano Ricci definito “un biglietto di andata e ritorno per un altrove trasversale”. Parla di danza e nella metonimica umidità ne rievoca la fatica. Il passo di danza allora è un “atto filosofico del comunicare laddove la danza ci conduce nella consapevolezza dell’essere ancora una volta altrove”, come dirà lo stesso Wayne McGregor a proposito del suo festival “Noi Umani siamo movimento. La nostra stupefacente comunicazione con e attraverso il corpo va ben oltre lo scambio di significato tramite parti del corpo a sé stanti, è una danza intricata in cui percepiamo il messaggio dell’altro, cerchiamo di costruirci sopra, di allinearci con esso, di reindirizzarlo o di sovvertirlo”. Bastano le sette prime mondiali, tra cui i lavori di Cristina Caprioli, Leone d’oro alla carriera e di Melisa Zulberti con l’opera multimodale Posguerra, e la prima volta della compagnia afrocolombiana Sankofa Danzafro, fondata da Rafael Palacios.
Sovvertire e capovolgere. Come fece Richard Wagner nella musica. Buttafuoco ricorda il funerale di Wagner descritto da Gabriele D’Annunzio che è come mettere insieme arditezza e ardore. Sul festival di Lucia Ronchetti “Absolute Music” promette che farà tremare. La compositrice e direttrice della Biennale Musica nel suo intervento parla di “significato della musica quale linguaggio autonomo e statuto ontologico del suono, mostrando lo stato dell’arte di questa disciplina alchemica e coinvolgente”. Dieci le sezioni di Biennale Musica, tra cui spicca la sperimentazione di Pure Voices, Musica Reservata e Ricercare, connubi tra la ricerca della musica e del suono assoluti e le nuove tecnologie. Ronchetti punterà, infatti, sull’innovazione come dialogo con l’Intelligenza Artificiale e con la digitalizzazione, elementi comuni ai tre Festival.
Festival all’insegna, dunque, della libertà declinata in ogni espressione che l’arte può dare, se per Arte si intende creazione etica ed estetica. Come si rivela con forza nella presentazione della sezione Teatro. Per Ricci e Forte il loro Niger et Albus “è la forza di accettare ciò che esiste fuori e dentro di noi, costruendo le palafitte di rispetto e orgoglio delle differenze che ci contraddistinguono per maturare una serenità e un distacco solare dai passi feroci di un pianeta che si esprime solo attraverso il mendicare lo sguardo compiaciuto dell’altro.”. Biennale Teatro, dice Ricci, sarà un Giano bifronte o un mazzo di tarocchi: caos, caso e un nuovo ordine, “schiena dritta contro la cultura accondiscendente“. Su questo crinale cammineranno i registi, gli attori e i drammaturghi della loro ultima Biennale, tra cui Back to Back Theatre, Gob Squad, Tim Crouch, Giorgina Pi e Stefano Fortin, Fabrizio Arcuri e Carolina Balucani Milo Rau , Amir Reza Koohestani.
Buttafuoco termina il suo intervento citando due sue guide Henry Corbin e Pavel Florenskji. Una Biennale di incurabile bellezza? Di certo, una Biennale che, parafrasando lo stesso Buttafuoco, si annuncia alchimia che si fa tramite del cielo.