Riportiamo qua di seguito l’introduzione di Sandro Marano al libro di racconti di Alfredo Vasco “Quei dieci secondi in più” (Progedit, pp. 203. € 19) da poco in libreria.
Scrive da par suo Guido Ceronetti: «L’uomo e il teatro finiranno insieme». E non solo perché nel teatro si rappresenta l’umana commedia, o se vogliamo l’umana tragedia, con tutte le sue sfumature: vizi e virtù, abiezioni e santità, amore e odio, desideri e disincanti, atti di viltà e di eroismo. Ma anche perché su tutto domina, accompagnatrice silenziosa, la morte. Tutto infatti nel teatro, converge sul finale e su quel sipario che cala. Come nella vita: «del viver ch’è un correre a la morte» (Purgatorio, XXXIII, 54), osservava già il nostro padre Dante.
E questi brevi racconti di Alfredo Vasco, dove si mescolano sapientemente tutti i colori del racconto, dal giallo al noir al rosa e i cui ingredienti sono «un po’ di follia, una porzione di grottesco, qualche favola d’amore», si chiudono tutti con la morte del protagonista.
Ma un’altra caratteristica di questi racconti è che poesia e scurrilità, umorismo e senso del macabro si tengono per mano.
C’è del surreale in Vasco, ma sempre strettamente legato alla varia umanità che tratteggia con pochi felici tocchi o che fa emergere dagli stringati dialoghi. Si avverte nei suoi testi l’eco di Pirandello, di Jonesco e di Beckett. Ma filtrato da un divertente e divertito minimalismo che stempera le situazioni più scabrose o più paradossali. Il suo lessico è semplice, crudo, a volte scurrile (perché l’autore dice le cose pane al pane e vino al vino), le frasi di regola sono spezzate con frequenti a capo, come fossero versi di una poesia.
Ma Vasco è soprattutto un maestro nel costruire i finali. Se il suo periodare è paratattico e ha un andamento teatrale (quel che si legge si può trasporre pari pari sulla scena), il finale è generalmente a sorpresa. Sospettiamo che l’autore abbia voluto in fin dei conti scrivere dei divertissement. Benché, accanto al divertissement, emerga, a lettura ultimata, una accorata meditazione sull’umanità, sulla fragilità e sulla vulnerabilità degli uomini e delle donne.
Prendiamo ad esempio il primo racconto, intitolato La 25esima strada. Ecco l’incipit:
«Gli ultimi raggi della luna avevano sottratto le sagome dei palazzi della 25esima strada al buio della notte.
Le stelle, preda delle nuvole, avevano smesso di brillare.»
In questo scenario di grande e inquietante bellezza si consuma la voglia d’amore della barbona che sta per esalare l’ultimo respiro. Con la notazione finale sull’altro barbone: «Adesso era diventato l’ultimo clochard della 25esima strada.»
O prendiamo il racconto Eva, dove la solitudine della protagonista si rispecchia efficacemente e poeticamente nella natura:
«Eva si lasciò alle sue spalle i pensieri d’amore.
Si buttò alle spalle Luigi.
Nel retrobottega delle sue emozioni.
Sbiadito. Impalpabile. Inodore.
La pioggia improvvisa lenì la ferita.
Il vuoto cominciò ad esserle familiare.
Come quelle gocce.
Sudore del cielo.
Come il buio.
Che stemperava i colori del bosco.
Come i suoni.
Che sibilavano dai cespugli.
Suoni di marmotte.
Di uccelli notturni.
Di inquietudini rapprese.»
Vasco conosce bene l’arte di suscitare la curiosità del lettore. Esemplificando: può una intera giornata di lavoro ridursi a pochi minuti, dalle 7,30 del mattino alle 7,58? Lo scopriremo leggendo Una giornata di lavoro. E può un marito vessato dalla propria consorte approfittare dell’incursione di malviventi nella propria abitazione per liberarsene definitivamente? Leggiamo Oddio, che disgrazia! O una incontenibile sessualità trasformarsi in furia omicida? Leggiamo Oltre. Se ci piacciono le atmosfere oniriche, simboliste, da fantasy leggiamo senza indugio Silabator. Se poi non c’importa granché del virtuismo borghese, non esitiamo ad accettare un invito a cena (per i maschietti) da Donna Amalia…
E potremmo proseguire per… sessanta volte.
Alfredo Vasco, ricordiamolo, ha dedicato la sua vita al teatro, è professionalmente un attore, già allievo deal grande Giorgio Albertazzi, è regista ed autore egli stesso di decine di testi teatrali. Ha pubblicato, tra l’altro, nel dicembre 2020, per le edizioni Tabula fati, un testo intitolato Museo pandemia che raccoglie tre atti unici legati tra loro dal tema del declino dell’umano nell’uomo.
I racconti qui presentati sono raggruppati per affinità tematiche in varie sezioni: Al di là del confine, Preti, Scarafaggi, Domeniche, Natale, Settembre al borgo, Incontri ravvicinati del settimo tipo. In quest’ultima sezione ci sono i racconti più lunghi, tra i quali segnaliamo La montagna della saggitudine, una sorta di rappresentazione corale con toni da Grand-guignol, dove il nostro autore ne ha per tutti: politici, preti, scienziati e, perché no?, poeti con un finale surreale, grandioso, che ricorda il finale “esplosivo” del film Zabrinski Point di Michelangelo Antonioni.