L’immagine-chiave del film è originata da un “prestito”: una tv mostra il tripudio dei talebani entrati a Kabul. La didascalia recita: “
Withdraw“, ovvero ritiro delle forze di occupazione. Siamo dunque a Ferragosto 2021. Riuniti in un magazzino-moschea, i musulmani di Napoli esultano. Pazienza se interpreti e comparse hanno abiti invernali.
Attorno a queste suggestioni esotiche, corre la vicenda prima parallela, poi intrecciata, a quella principale: lo scrittore in età (Toni Servillo) torna nella natia Napoli per una conferenza di addio alla letteratura. E’ ospite in un albergo (onirico?) con una suite arredata con libri che paiono di un’abitazione, non letture per clienti di passaggio. Qui e nei dintorni, quartiere Ferrovia, tra immigrati multicolori e napoletani importati, giunge una nuova, inattesa ispirazione: il neofascista, non quello da cliché, ma un neofascista affascinto dall’Islam, non xenofobo, non moralista. E lo era già prima di rendersene conto, poiché ama, riamato, una tunisina non illibata.
Se contenuto in 80′, Caracas sarebbe stringato e duro come i noir anni ’50; esteso a 110′, (resi necessari dalla doppia pista da seguire – chi per età dovrebbe morire e non muore; chi per età dovrebbe vivere e muore – Caracas si dilata, ma anche così è raro trovare un film altrettanto capace di emozionare.
*Caracas di e con Marco D’Amore, con Toni Servillo, Lina Camelia Lumbroso, 110′