La questione della fuga dall’algoritmo non è una questione di libertà; in realtà non è mai solo una questione di libertà, concetto assai vendibile e quasi mai utilizzabile. E’ chiaramente sempre una questione di rapporti di forza. Il che per noi occidentali del terzo millennio, cresciuti dentro al relativismo totalitario protestante, significa tentare una conversione dell’anima e del corpo di difficile riuscita. Persino l’Anarca, lo sapete, lo abbiamo ricordato tante volte, non anela ad una indistinta libertà: piuttosto prepara un luogo fisico (che certo è anche ultrafisico), concreto, di resistenza. Junger parla chiaramente di armi, di capofamiglia, di una concreta delimitazione dello spazio dove la sovranità torna ad essere dato di fatto: collettivo nel caso dell’Operaio, individuale nel caso del Ribelle.
Quando si ripropone la volontà di un mondo per nulla ben costruito, dunque, si sta utilizzando non un linguaggio morale, non la convivenza religiosa con il peccato, ma un discorso eracliteo: la verità nasce dal polemos, è il conflitto fra le parti ad indicare la realtà del Logos.
Che cosa vuole essere dunque la tirannia dell’algoritmo? In parole semplici, la sempre più concreta vittoria dell’annientamento del divenire. Non è badate, la fine della storia; concetto vendibile ed inutilizzabile quanto quello di libertà. No. Parliamo di annientamento di ogni fluire, di ogni ciclo, di ogni concreta diversità. E’ la sostituzione del Logos, se volete della Provvidenza, scegliete voi, con una linea virtuale ed imposta di infinita produzione. Che il capitalismo sia tirannico non lo dice più nessuno. Che sia destinato ad annientare il pianeta ed essere umano lo si dice tramite concetti nuovamente tanto vendibili quanto inutilizzabili. Il pover’uomo osserva questi giovani mediamente foraggiati avvilire una qualche opera d’arte pensando “si fotta il pianeta, la mia vita è già morta.”
L’algoritmo tende a creare due fazioni, conciliabili dentro il suo sistema di vendita su basi moralistiche. Su ogni singola vicenda. Ciò che non tollera, è l’uso della violenza in senso comunitario. Da Fleximan alla vittoria tattica russa, la violenza eraclitea viene immediatamente condannata, censurata, e non su basi di verità. Ma su discorsi fideistici. Bene, male. La santa civilizzazione. La violenza è tollerata ed anzi, auspicata, applicata, difesa e santificata se utilitaristica: se tesa a rinnovare il dominio relativistico del modello produttivo capitalistico.
Se essa esce da questo schema, la reductio ad hitlerum è, come sempre, immediata; così la strage di Gaza assume un più che coerente connotato biblico per noi occidentali ormai puritanizzati. Sodoma e Gomorra meritano la punizione del popolo eletto. Popolo che, difronte al terrorismo di Hamas, è legittimato in senso economicistico, utilitaristico, allo sterminio: un tempo, quando economia e crematistica erano separate e la verità era un concetto concreto di vita comunitaria, si costruivano torri, mura difensive, a volte ponti. Nell’era del capitalismo tecnocratico, così come si stampa moneta all’infinito per i sodali di BlackRock, è normale bombardare sino all’annientamento.
Dunque fa bene l’uomo medio a pensare “si fotta il pianeta, qui non vedo nulla di buono”; certo per chi come noi fa fatica ad arrendersi, almeno intellettualmente, la frustrazione di vedere le proprie intuizioni marxiane e nietzscheane tristemente sempre più evidente, aumenta.
Preghiamo Polemos di tornare: demone della guerra, probabilmente della guerra civile, padre di Alalà, personificazione del grido di battaglia.