Oramai da almeno due settimane tiene banco sui media di tutt’Europa la “questione agricola”, cioè le turbolenze del mondo agricolo in tutte le più grandi nazioni europee che si stanno trasformando in un incalzare deciso e, per il momento, sempre più crescente di manifestazioni che hanno visto sfilare coi loro mezzi agricoli decine e decine di migliaia di “contadini” per le strade anche di grandi capitali europee, non esclusa quella che è considerata la capitale dell’Unione Europea: Bruxelles.
Per comprendere meglio ciò che sta accadendo ed evitare di leggerlo con categorie ideologiche che risulterebbero inefficaci ad una realistica interpretazione di questi eventi, conviene fare qualche passo indietro e analizzare ciò che è accaduto negli ultimi anni in questo settore e ciò che è stato “pianificato” dalle burocrazie europee.
I numeri della crisi
Per l’Italia, di recente, l’Istat ha rilevato un calo dell’1,4% della produzione, del 2,6% del valore aggiunto, del 4,9% delle unità di lavoro. La produzione di vino è calata, nel 2023, del 9,5%, quella delle patate del 6,8%, la produzione di frutta è scesa del 5,3%. In parallelo sono cresciuti i prezzi di questi prodotti per i consumatori: l’olio di oliva del 22,9%, le patate del 37,9%, gli agrumi del 15,4%, di altra frutta del 9,4%. In tutta Europa l’indicatore del reddito è calato del 25,9% in Danimarca, del 23,1% in Polonia, del 14,4% in Francia. I costi di produzione in Europa per le sementi sono balzati in alto del 12,9% e dei fitosanitari del 8,8%. Sicché autorevoli ed esperti commentatori hanno potuto dichiarare: «L’agricoltura europea è in affanno.»
Di fronte a questi “affanni” e difficoltà, le “terapie” prospettate dall’Unione Europea sono apparse al mondo agricolo più dannose della stessa “patologia”. «Ma le luci restano puntate anche su Bruxelles. In un contesto complesso infatti le regole ferree del Green Deal rischiano di mandare a gambe all’aria le imprese europee. L’Italia ha già fatto la sua battaglia contro un taglio drastico dei fitofarmaci e contro le direttive stalla che avrebbero portato alla chiusura di molte strutture europee (e italiane). Per ora le misure sono state congelate , ma il rischio di norme sdraiate su un ambientalismo “talebano” è sempre dietro l’angolo.»
La sinistra dei media disprezza gli agricoltori e gli chiama “kulaki”
Le cifre che sono state riportate e le considerazioni di un commentatore, come la giornalista Anna Maria Capparelli, non filo – governativa, ci fanno comprendere come i malumori e i turbamenti degli imprenditori agricoli, per anni siano covati sotto la cenere di un apparente indolenza e di un malcelato disinteresse, fino a divampare prepotentemente in queste ultime settimane. Nonostante ciò, vi è ancora qualcuno che non esita a demonizzare quanto sta accadendo sulle strade di tutta Europa con la cosìdetta “rivolta dei trattori” e, come ha fatto massimo Giannini sulle pagine de “La Repubblica”, definisce spregiativamente, con espressione vetero-stalinista, questi agricoltori “kulaki”.
Gli agricoltori europei hanno ben compreso che dietro la sovrastruttura ideologica verde ed ambientalista che vorrebbe imporre un drastico e deleterio ridimensionamento del PIL agricolo europeo vi è, marxianamente, celato la “struttura” dell’affare economico di grandi aziende multinazionali, che hanno sguinzagliato per i corridoi delle burocrazie europee le loro lobby a convincerle e a persuaderle che quella è la strada da intraprendere. In un suo articolo di fondo su “La Verità” del 2 febbraio, Maurizio Belpietro ha definito questa azione: «Un’operazione che anche in questo caso favorisce le multinazionali, che producono cibo ultra- processato tipo la carne o i pesci sintetici, ma in modo ultra – rispettoso delle raccomandazioni europee, che in parte sono da loro dettate.»
Paradossalmente, a parte il caso “patologico” di Giannini, molta stampa di sinistra e anche personalità politiche di quello schieramento, che fino a ieri hanno fortemente sostenuto l’agenda green dell’Unione Europea, demonizzando ogni tentativo di resistenza, oggi tentano di strumentalizzare le manifestazioni degli agricoltori contro il governo “Meloni”. Il caso più emblematico è stato quello del governatore pugliese Michele Emiliano, responsabile con le sue omissioni del disastro della Xylella nel Salento, il quale ha raggiunto i manifestanti a Bruxelles per “solidarizzare” con loro (Sic!).
Frenare l’intransigenza “green”
Giorgia Meloni e il suo ministro della Sovranità Agroalimentare non devono cadere nella trappola di contrapporsi a questa categoria penalizzata da decenni. Di queste manifestazioni devono fare una forza per sostenere più compiutamente e con maggiore determinazione politiche che non solo arrestino la deriva green dell’ambientalismo “talebano” ma che addirittura provino a ribaltarla. Sui tavoli europei, queste manifestazioni, tali turbolenze così diffuse e popolari, devono corroborare la forza contrattuale del governo di centrodestra che ha provato sinora, in solitudine forse, ad invertire la rotta su questi temi. Anche la dialettica interna alla maggioranza di governo potrebbe risultare funzionale a tali scopi. Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega al Senato, ha affermato in una recente intervista: «Penso che il malessere degli agricoltori debba essere da monito per la politica in generale, a prescindere da chi governa. Vogliono darci un segnale: ci stanno dicendo che siamo troppo morbidi politicamente. Dobbiamo essere più determinati nel combattere certi meccanismi: le ecofollie ci porteranno in rovina».
Spendere bene le risorse del Pnrr
Sembrerebbe però che la cosa sia chiara a Giorgia Meloni avendo comunicato che gli stanziamenti in agricoltura previsti nel Pnrr passeranno da 5 miliardi ad 8 miliardi. Talvolta però più che gli stanziamenti di risorse conta come si spendono e quanto rapidamente si mettono a disposizione degli imprenditori. Se si riuscirà in questa prova di forza la protesta dei trattori non sarà un episodio di “jacquerie” inefficace ed improduttivo ma una “controrivoluzione” vera nelle politiche europee.
Il nemico degli agricoltori non sono le misure per una conversione ecologica dell’agricoltura ma un mercato distorto nei cui confronti la UE nulla fa. È contro i pesticidi (giustamente) e poi approva la proroga del glisofato, dà soldi all’agricoltura (giustamente) ma destinato l’80% al 20 % dell’agroindustria, penalizza le produzioni locali e non impone dazi pesanti ai prodotti che vengono fuori dalla UE che sono trattati con pesticidi. Gli agricoltori non devono cadere nella trappola delle lobby dell’agroindustria e devono essere invece gli alleati “naturali” degli ecologisti. Smettiamola di fare il tiro al piattino contro l’ecologismo radicale perché altrimenti saremo tutti vittime di questo modello di sviluppo paranoico e nocivo