L’Istituto della Enciclopedia Italiana, nella sua campagna di comunicazione #leparolevalgono, che ha lo scopo di promuovere un uso corretto e consapevole della lingua, ha indicato “femminicidio” come parola dell’anno del 2023.
La scelta, pur rabbrividente, è significativa del clima dell’anno scorso e non deve purtroppo stupire. Infatti, secondo l’ Istat nel 2022 si sono verificati nel nostro Paese 322 assassini, 196 uomini e 126 donne, e di questi ultimi 61, la metà dunque, possono essere definiti “femminicidi”, termine con cui da tempo si intendono gli assassini di donne in ambito affettivo/familiare. Nel momento in cui scriviamo (inizio gennaio 2024) l’Istat non ha ancora elaborato i dati complessivi dell’anno scorso, ma si sa che entro ottobre i “femminicidi” hanno raggiunto almeno quota 100. Si può dunque ipotizzare che nel corso dei successivi due mesi questa cifra possa essere il doppio del 2022. Un dato che impressionante che deve far pensare non solo al fatto di sangue in sé, ma anche ai motivi, le ragioni, le cause profonde che lo producono, anche perché qui non si tratta di qualcosa di che caratterizza alcune regioni italiane (il Sud come banalmente si dice) ma tutto il Paese, dalla Sicilia alla Lombardia, e non è tipica di certe età, ma da tutte, dai ventenni agli ottantenni, né di specifiche classi sociali. Insomma è qualcosa di generalizzato e diffuso.
Tutto questo è emerso soprattutto dopo l’assassinio di Giulia Cecchettin per mano di Filippo Turetta, entrambi ventenni, nel novembre scorso, episodio che è rimasto sulle prime pagine dei giornali e in prima serata televisiva per giorni e giorni. Sino al funerale della ragazza con la presenza di diecimila persone giunte da tutta Italia.
C’è da chiedersi intanto perché questa tragedia abbia prodotto una simile. profonda emotività, nonostante non fosse affatto la prima o dopo non ne fossero avvenute altre altrettanto terribile. Probabilmente quel che l’ha provocata è stata non solo la efferatezza del delitto ma soprattutto, a mio parere, l’insistenza morbosa con cui è stato presentato e raccontato per giorni e giorni dal mass media nazionali, ovviamente la televisione in testa. Se da un lato tutto questo si poteva benissimo evitare trattando il delitto come molti simili precedenti, dall’altro ha fatto emergere il problema del “femminicidio” quasi all’improvviso, anche con la strumentalizzazione negativa del fatto che esso è avvenuto proprio ora con un governo di centrodestra (guidato peraltro da una donna) e come se in precedenza poco o nulla del genere fosse accaduto, al punto di gridare al “patriarcato” tanto da indurre il ministro dell’istruzione (e del merito!) sull’oda della diffusa emotività e delle proposte della segretaria PD Schlein a pensare di predisporre a scuola sin dalle classi inferiori “corsi sulla affettività”, ovviamente per i maschi, considerando questo termine generalizzante comprendente anche gli LGBTQ+ (per la cronaca Q sta per queer, e cosa voglia dire il termine ce lo spiega la defunta scrittrice Michela Murgia in un suo libro uscito postumo da poco).
Non solo. A quanto pare anche il dolore ha un suo peso da gestire nella pratica. E così il padre della povera Giulia, anzi il povero padre di Giulia, non riuscendo a far fronte ai suoi impegni presenti e futuri , come si legge sul Corriere della Sera del 3 gennaio 2024, p. 17, si sarebbe affidato alla agenzia di comunicazione londinese “Andrew Nurberg” che su occupa di scrittori e artisti per gestire i suoi rapporti con l’esterno e per aiutarlo nella eventuale creazione di un progetto o fondazione che ricordi la figlia uccisa o anche per la redazione di futuri testi di letteratura e cinema. Tutto a fin di bene, sia chiaro.
Il problema è assai complesso e non lo si può banalizzare così, perché riguarda il rapporto uomo-domma che è un problema ancestrale su cui si sono espressi da sempre sin dalla antichità classica filosofi e poeti ed oggi non solo psicologi, psichiatri e psicanalisti per andare alle radici della questione.
Tutto sta nel senso di “possesso”, anch’esso ancestrale, del maschio nei confronti di una femmina, proprio quanto avvenuto per Filippo nei confronti di Giulia dopo la fine della loro relazione, rapporto frustrato che è sfociato nel delitto, come è emerso nelle confessioni della ragazza alle sue amiche che hanno ceduto le registrazioni a vari Tg che le hanno trasmesse “in esclusiva” (complimenti alle amiche e ai direttori dei TG).
Questo sentimento, che non è affatto tipico dei “meridionali” o dei “latini” come banalmente si dice e che è presente in ogni emisfero del pianeta, è quello che si deve saper controllare e gestire per non giungere ad una totale dipendenza dell’uomo rispetto alla donna, dal maschio dalla femmina, considerando che essa possiede una “potenza” (non solo generativa) mentre l’uomo possiede un “potere” su piani molteplici. Si dovrebbe andar oltre la idealizzazione che fu tipica del Romanticismo.
Tutto ciò rimane ancora nel mondo di oggi, nonostante la cosiddetta “emancipazione femminile” e le donne emancipate ne fanno sempre uso magari inconsapevole perché è nella loro natura, anche se non lo vogliono ammettere. Il cosiddetto “sesso debole” di solito non lo è affatto e su questo argomento sono strati scritti romanzi famosi e realizzati film altrettanto famosi. Il tutto condensato nell’immortale odi et amo di Catullo.
Il busillis sta tutto qui.
Nel Manifesto del Futurismo (1909) si proclamava il “disprezzo della donna”, ma Filippo Tommaso Marinetti fu marito e padre affettuoso. Quel che intendeva dire era che si doveva essere capaci, quando e se del caso, di fare a meno dell’ “altra metà del cielo”, farsene una ragione profonda, non dover dipendere in tutto e per tutto da essa, farla diventare una ossessione, come ha dimostrato la storia tragica di Giulia con Filippo che non accettava la fine del rapporto e la perseguitava e ricattava facendone il proprio chiodo fisso, appunto una fissazione, una ossessione la cui tremenda conclusione, e il relativo risalto mediatico, non hanno insegnato assolutamente nulla a nessuno considerando che nei giorni anche immediatamente successivi si sono verificati episodi uguali se non peggiori .
“Potere” che è superiore alla “Potenza”. E’ la ossessione del possesso (sentimentale, psicologico, fisico) che il maschio deve superare, meglio padroneggiare e gestire, e lo potrà fare soltanto se si pome sul piano del “potere” superiore, come detto, a quello della “potenza”. Il che non è per nulla facile da capire e accettare. Ma questo è un argomentare che risale all’inizio della umanità, da Adamo e Eva se si vuole. E non c’è mai stata una risposta definitiva.
L’uomo, come diceva anche Julius Evola, deve saper far fronte alle proprie responsabilità qualunque esse siano e su qualunque piano, peraltro, non fuggire di fronte ad esse, e la donna se vuole “emanciparsi” nell’epoca in cui vive lo faccia puree a patto che sia coerente con questa sua “emancipazione” e non la condizioni a seconde delle circostanze che le fanno più comodo.
Le teorizzazioni sono infinite, i consigli e le direttive altrettanto, ma è qualcosa che si risolve nella pratica personale e non nella teoria generale. Ognuno faber di sé stesso, della propria vita e di quella di chi ha intorno o a cui si lega: tutto dipende dalle proprie scelte. Non ci sono santi.
La questione antica, più o meno antica – per rimanere all’Italia – non è tanto nel rapporto uomo-donna nelle classi colte ed abbienti (un tempo appartenenti in gran parte all’aristocrazia), delle quale si può discutere quasi all’infinito, quanto nel rapporto uomo-donna tra i cosiddetti ‘migranti’ terzomondisti e nelle sacche di Lumpen nostrano, civile, culturale e comportamentale (intendo per Lumpen qualcosa di ben diverso dal marxiano sottoproletario). Non so se Marinetti ed Evola sono stati gli autori più autorevoli in materia. Personalmente disprezzo Marinetti. Io rimango ai francesi, Flaubert in particolare…