Uffà! Che barba, che noia! Non se ne può più di polemiche fine a se stesse, anche quando – invece – ci sarebbe da brindare e tenere in alto i calici. Perché è un bene che sia stata allestita una mostra celebrativa su J.R.R. Tolkien con il contributo del ministero della Cultura. Sì, proprio sul padre degli Hobbit e di un universo fantastico e sterminato davanti al quale tremano le gambe per vastità e coerenza. Il Signor degli Anelli è soltanto la punta ben visibile di un mondo tanto straordinario quanto affascinante che concede un rifugio sicuro a chi anela «l’evasione». Ciò detto: non era soltanto legittimo, ma anche doveroso che le istituzioni italiane abbiano provvedessero laicamente a celebrare “l’uomo, il professore, l’autore”.
Letture fuori luogo
Un’operazione sotto gli occhi di tutti. Trasparente. Per questo fanno sorridere le recensioni o i talk di quanti si approcciano alla mostra in corso come se stessero entrando in un negozio di souvenir in quel di Predappio, salvo per poi verificare che all’interno della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma c’è davvero una mostra. Un’esposizione, peraltro, realmente attenta alla dimensione biografica del professore oxoniense. Il curatore, Oronzo Cilli, in tal senso, dà prova in positivo dei risultati raggiunti grazie alle ricerche affrontate in tanti anni di studi.
Il pomo della discordia
Il punto di tante ritrosie – e non giriamoci attorno – è ancora oggi legato al fatto che i primi e più appassionati lettori italiani della saga tolkieniana bazzicassero gli ambienti della destra giovanile. Un incontro però fruttuoso, perché ha permesso al neofascismo di superare tanto del proprio bagaglio impolverato per esplorare altro, anche in termini intellettuali. Insomma, chi frequentava i cambi Hobbit non sognava affatto di ridar vita al Regime o richiamare in vita Achille Starace e le sue liturgie ginniche. Erano semmai ragazzi desiderosi di comunità, lealtà, sacrificio e di tutti quegli altri valori che sono bagaglio comune del mondo pensato da Tolkien e della galassia tradizionale che deve tanto all’elaborazione di Julius Evola (opera poco letta durante il Ventennio).
Si tratta di pagine poco studiate anche da chi racconta la cronaca politica quotidiana. Anche per questo motivo il racconto sulle coordinate culturali dell’attuale governo è spesso inesatto, se non distorto o superficiale, mentre per altre scuole politiche si pretende maggior rispetto. E si fa fatica davvero a ripartire ogni volta da zero, proprio quando servirebbero maggiori strumenti per raccontare i fenomeni in atto e, talvolta, criticarli.
La svista storica della sinistra italiana
La domanda potrebbe essere semmai un’altra. Perché la sinistra italiana non ha colto il potenziale tolkieniano (a partire dalla critica al capitalismo industriale), mentre gli hippy statunitensi hanno fatto propri alcuni aspetti presenti nella Terra di Mezzo? Qualche risposta può arrivare proprio dai reperti esposti a Roma, da alcune testimonianze sorprendenti che gli appassionati delle vicende editoriali di Tolkien già conoscono a menadito, ma non il grande pubblico. La storia della ricezione di Tolkien in italiano è complessa. Anzi, burrascosa. La recente traduzione di Ottavio Fatica per Bompiani (che non sta a noi giudicare, ci mancherebbe!) ha avuto il grosso problema di prestarsi a un’operazione polemica apertamente dichiarata: sbianchettare il rapporto tra il Signore degli Anelli e i suoi primi lettori (quella sì che è un’iniziativa divisiva e fortemente politicizzata).
Poi tutto è discutibile, tutto è opinabile: lo sappiamo benissimo e non c’è mica nulla di cui scandalizzarsi. L’importante è saperlo prima. Per concludere, però, vogliamo tornare alla mostra di Roma e ai suoi contenuti. Chi entra non troverà altro se non quello che è dichiarato nella locandina dell’evento. Cioè, un documentato percorso sull’opera e la persona di Tolkien (il catalogo, in tal senso, può risultare uno strumento assai efficace di studio e collezione).