La questione del se e quanto la filosofia di Nietzsche abbia influito sul fascismo e sul nazismo è una delle più dibattute, e su di essa si sono accapigliati e si accapigliano sia gli apologeti che i detrattori del suo pensiero.
In uno di capitoli di un saggio pubblicato nel 1934, Socialismo fascista, intitolato “Nietzsche contro Marx”, lo scrittore francese Pierre Drieu La Rochelle, ponendo in rilievo l’influenza che le filosofie di Nietzsche e di Marx avevano avuto sui movimenti politici e sociali del suo tempo, si chiedeva: «Lo spirito di Nietzsche non si trova forse nel cuore di tutti i grandi movimenti sociali che si sono verificati da vent’anni a questa parte sotto i nostri occhi? È ormai assodato che Nietzsche ha avuto un’influenza determinante su Mussolini. Ma non ha avuto un’influenza anche su Lenin?». E pur ammettendo che l’insegnamento di Nietzsche è «multiforme, sibillino come quello di tutti gli artisti. Un insegnamento che si sottrarrà sempre a ogni tentativo di definitivo possesso da parte di un partito, di un’epoca», non esitava a concludere che la filosofia poetica di Nietzsche è «più efficace ed irresistibile sugli artisti ed i politici di un pensiero di filosofo come Bergson». (1)
Uno scritto di Mussolini
Peraltro, va rilevato che Benito Mussolini fu il primo in Italia a dare una lettura politica di Nietzsche con un piccolo saggio, La filosofia della forza, apparso a puntate, dal novembre al dicembre del 1908, su “Il pensiero romagnolo”, che prendeva le mosse da una conferenza dell’onorevole socialista Treves. In questa sommaria e lucida disamina Mussolini, tra l’altro, individuava il punto debole della filosofia nietzschiana nella sua impostazione troppo individualistica: «Non basta creare nuove tavole di valori, bisogna anche umilmente produrre il pane». (2) E poneva le basi per una interpretazione del superuomo inteso non come individuo eroico che sfida le convenzioni, ma come nazione, che è popolo e aristocrazia, giacché «nella nazione c’è la tradizione e c’è la promessa di un avvenire di espansione, c’è l’elitismo delle minoranze che guidano e campeggiano come fiori all’occhiello di un popolo e c’è il coinvolgimento del popolo stesso che si sente appartenente a questa comunità». (3)
Tra le possibili chiavi di lettura non può dunque escludersi a priori quella fascista, considerando che «il concetto nietschiano che giunse in Italia meno deformato fu proprio quello di superuomo, divulgato da Mussolini fin dal 1908. Esso venne inteso, sì, come simbolo del popolo conquistatore e dominatore secondo la politica di potenza cara al nazionalismo e all’imperialismo; ma anche e soprattutto come presagio di un uomo nuovo, di un nuovo tipo di cittadino, portatore di un nuovo stile di vita». (4)
Sulla critica all’individualismo nella filosofia di Nietzsche conviene Sossio Giametta che osserva come Nietzsche, «pur avvertendo come nessun altro, salvo forse Marx, il declino dei valori e la decadenza in genere, donde la sua fama di critico della civiltà, non sapeva pensare che in termini individuali, mentre i mali morali che avvertiva erano in massima parte causati dalle trasformazioni sociali, specialmente economiche, erano ripercussioni di queste». (5)
Sennonché la questione dell’influenza della filosofia nietzschiana sui fascismi richiama quella più generale dell’influenza del pensiero filosofico sulla politica. E ciò vale soprattutto per quei pensatori come Platone, Machiavelli, Rousseau, Marx, oltre lo stesso Nietzsche, le cui filosofie hanno una dimensione profetica e dunque si prestano ad essere utilizzate dalla politica.
Si potrebbe forse sorridere sulla battuta di Ortega y Gasset, secondo cui «il politico diventa nervoso quando il filosofo sale alla ribalta per dire ciò che vi è da dire sui temi politici». Ma essa sottintende da un lato, la necessaria distinzione di rango tra la filosofia, che è pensiero della verità, e la politica, che è un “pensare utilitario”; e dall’altro, l’immancabile influenza che la filosofia ha su tutte le attività dello spirito, dal momento che «l’uomo vive a partire da e in una filosofia. Questa filosofia può essere erudita o popolare, propria o altrui, vecchia o nuova, geniale o stupida, ma in ogni caso il nostro essere affonda saldamente le sue radici viventi in una filosofia». (6)
C’è, dunque, sempre e comunque, una responsabilità del filosofo, per quanto indiretta e sottile sia. Come scrive Sossio Giametta con argomentazioni che ci sembrano non confutabili: «La cultura non comunica direttamente con la politica. Quindi un’ideologia filosofica non è mai traducibile direttamente in ideologia politica. (…) Tuttavia le ideologie culturali hanno rapporti sotterranei importantissimi con gli avvenimenti sociali e politici, sia in senso attivo sia in senso passivo, come parti di uno stesso fenomeno complessivo, ed è questo certamente anche il caso di Nietzsche. (…) Il filosofo non è responsabile, in quanto tale, dei suoi atti sul piano etico. Allo stesso modo, egli non è responsabile delle conseguenze della sua filosofia sul piano politico, sociale o altro. È responsabile sempre e solo verso la verità. E questa però non è da intendere come una responsabilità “debole”, parziale, dimidiata, bensì come la più forte e grave che un uomo possa avere, dell’uomo che il filosofo è e per la quale soltanto le altre, quantunque importanti, “imprescindibili”, diventano secondarie». (7)
Quando Nietzsche descrive “l’ultimo uomo”, col suo ammiccare alla felicità stereotipata, alla mediocrità, all’eguaglianza e nega il socialismo, la democrazia e il cristianesimo; quando auspica l’avvento del superuomo (comunque lo si voglia intendere: capo politico, esteta armato alla D’Annunzio, o nuova aristocrazia del sangue e del suolo e ordine nuovo); quando esalta la lotta tra gli uomini e la volontà di potenza, egli mette a punto una serie di elementi e di suggestioni che nel fascismo trovano un terreno fertile e “naturale”. «E in questo senso – scrive, non a torto, Sossio Giametta – fornirà sempre formidabili argomenti a tutte le destre, dato che le destre, esattamente come le sinistre, non mancano di profonde giustificazioni». (8)
La riflessione di Sossio Giammetta
E a coloro a cui ripugna di ammettere lo stretto legame di Nietzsche col fascismo, Sossio Giametta obietta che, sulla scorta dei testi, questo legame c’è ed è indubitabile e che la loro ripugnanza deriva dal fatto che essi «non sono disposti a prendere sul serio il fascismo, a vederlo cioè non come frutto di arbitrio e gratuita ferocia, ma come un portato storico, come un fenomeno di vecchiaia e di decadenza, sì, e di violenza, anche, ma naturale e grandioso, come tramonto di un evo e della potenza mondiale dell’Europa, (…) come movimento che, pur nella sua negatività, incorporava anche tutte le buone ragioni che Nietzsche appunto fa valere a suo favore e che rimarranno sempre in eterno le ragioni della destra, con buona pace di quanti sognano o piuttosto farneticano di poter mai, con i loro sofismi, recuperare Nietzsche alla sinistra». (9)
Per Augusto Del Noce
Dello stesso avviso sono in generale gli interpreti che non hanno schemi pregiudiziali, tra cui citiamo il filosofo cattolico Augusto Del Noce, che osserva come sia «assolutamente falso, dunque, il giudizio sul prenazismo di Nietzsche, perché la sua opera non può avere, anche contro la volontà del suo autore, che un carattere diagnostico; ma è insieme assolutamente vero che, se si vuole interpretarla come dottrina d’azione, la forma ultima a cui si deve giungere è il “furore nazista”: d’altra parte si può indicare un discepolo pratico di Nietzsche, in cui non si possa ravvisare un precursore del fascismo e del nazismo?». (10)
In definitiva va onestamente riconosciuto, allo stesso modo che se ne predicano da un lato i limiti e le unilateralità e dall’altro i meriti e la grandezza, che Nietzsche è stato certamente un precursore del fascismo.
Note
(1) Pierre Drieu La Rochelle, Socialismo fascista, EGE, 1974, pp. 87-95;
(2) Benito Mussolini, La filosofia della forza, in appendice al testo di Ernst Nolte, Il giovane Mussolini, Sugarco, 1993, p. 131;
(3) Marcello Veneziani, Mussolini il politico, Ciarrapico, 1981, p.105;
(4) Augusto Simonini, Il lingaggio di Mussolini, Bompiani , 1978, p. 107;
(5) Sossio Giametta, Commento allo Zarathustra, Bruno Mondadori, 1996, p. 10;
(6) Josè Ortega y Gasset, La felicità e la tecnica, in Meditazioni sulla felicità, Sugarco, 1994, pp. 170-171;
(7) Sossio Giametta, op. cit., pp. 313-314;
(8) Sossio Giametta, op. cit., p. 13;
(9) Sossio Giametta, op. cit. pp 119-120;
(10) Augusto Del Noce, Tramonto o eclissi dei valori tradizionali?, Rusconi, 1971, p. 192.