Nel 1992, i partiti italiani dell’arco democratico venivano puniti per aver dimenticato l’origine tutta straniera del loro potere. Sempre nel 1992, un branco di lupi abruzzesi varcava la frontiera italo-francese, insediandosi nelle Alpi Marittime, alle spalle del Principato di Monaco. A volte la natura prende rivincite sulla storia ed è notevole che oggi esca un film francese che racconta come la storia, figlia della geografia, muti con l’ambiente.
Nel 2015 lo scrittore Sylvain Tesson comincia dalla valle delle Meraviglie un cammino dal Mar Ligure all’Oceano Atlantico, cioè verso la Bretagna. Percorso di redenzione laica, catarsi nel ritorno alla natura per un autore/seduttore, che conquistava le lettrici non solo con la penna e che, alle feste in suo onore, entrava dalla finestra. Letteralmente.
Colpisce che un divo come Jean Dujardin interpreti – per lo più in silenzio – A passo d’uomo di Denis Imbert, film tratto dal romanzo di Tesson, Sentieri neri (Sellerio). Tale è anche il titolo originale del romanzo: infatti sulle mappe francesi i sentieri sono tracciati, sottilmente, in nero.
Camminare per oltre mille chilometri, tra estate e autunno 2015, è il modo per riprendere completamente l’uso delle gambe, dopo una caduta dal balcone. Forma laica del cammino di Compostela in Spagna, il percorso in Francia fra tre dei sei lati dell’Esagono segna il riscatto di un uomo che credeva di essere molto più di ciò che era.
Imbert è diligente, ligio alla sceneggiatura quanto al divo protagonista, un Dujardin in versione drammatica, che ha girato le scene quasi in solitudine durante il covid, da persona accorta. Il ritmo è solenne, i silenzi assidui, per fortuna, perché il doppiaggio non vale la versione originale. Eppure questo film sarebbe piaciuto a Robert Bresson e a Ermanno Olmi: ha infatti il pregio dell’insolito.
*A passo d’uomo di Denis Imbert (Francia, 2021), con Jean Dujardin, Anny Duperey, 95′
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