Sono cadute da tempo le nostre residue illusioni di una guerra cavalleresca, di quella “antica festa crudele” raccontata da Franco Cardini e giunta fino alle soglie della modernità nella versione del bellum federicianum. Sembra irrimediabilmente smarrito Il rispetto del nemico, quel vedere in lui i tratti di umanità che attribuiamo a noi stessi e che ad esempio – cita Antonio Polito in un bell’editoriale sul Corriere della Sera – sta alla base della decisione di George Orwell e di Emilio Lussu di non sparare al nemico ignaro, nel pieno di guerre pure impietose come quella civile di Spagna o il primo conflitto mondiale.
L’attacco di Hamas ai civili viene descritto come una tragica novità, ma non è che questi, nella storia, siano stati sottratti agli orrori della guerra: l’essere umano ha sempre commesso gli stessi delitti, sia nel privato che nella dimensione pubblica di vicende belliche; alcune cose sono però cambiate con l’avvento della tecnologia: ad esempio, oggi e non da oggi si uccide da lontano, schiacciando un pulsante come si fosse all’interno di un videogioco, e grazie sempre al “progresso tecnologico” si possono filmare e diffondere gli atti più efferati, in modo da banalizzare il Male e da assuefare le masse alla violenza; questa d’altra parte è reperibile in tante finzioni – film, videogiochi, serie tv – caratterizzate proprio da quella violenza e che però non producono danni materiali. Quanto alla tecnologia – che consente anche falsificazioni credibili più che nel passato – o alla deriva della guerra cibernetica, ci sarebbe da aprire altri capitoli, ma non è questa la sede.
Le brutalità
Dopo quelle messe in opera in Ucraina, le brutalità di questi giorni perpetrate da Hamas ai danni di cittadini israeliani fanno tornare tragicamente d’attualità la questione palestinese, declinando in maniera inedita la guerra, da più di un osservatore paragonata da un lato all’attacco giapponese a Pearl Harbour e dall’altro all’attentato islamista alle newyorkesi Torri Gemelle. Ma qui c’è un passo ulteriore, che è dato non solo dal coinvolgimento mirato e per ora quasi esclusivo di civili, quanto dalla strage deliberata di bambini, che rinnova quella ordinata da Erode. Certo, di minori ne sono stati uccisi in tutte le guerre, ma per lo più si trattava di casi isolati di crudeltà o di “effetti collaterali”, magari terribili come quelli di cui si resero responsabili gli Alti Comandi che decisero bombardamenti non limitati agli obiettivi militari a Dresda, a Napoli e, soprattutto, a Hiroshima e Nagasaki. Si trattò in questi casi di punire, spaventare e spingere alla ribellione verso i propri capi popolazioni che avevano assicurato il consenso a quei capi, a quei regimi.
Il fondamentalismo
Qualcosa di non dissimile deve aver guidato i feroci strateghi di Hamas, una micidiale miscela di odio atavico, di prospettive geopolitiche e di spietatezza che non si concilia con nessuna religione. Del resto, il fondamentalismo islamico non è nuovo a queste efferatezze: basti ricordare i recenti attentati della Jihad in Europa e i sanguinosi eccessi del processo di decolonizzazione in Algeria, con l’avvento del GIA, organizzazione costituita da sgozzatori sotto i cui coltelli caddero anche monaci e marinai di un mercantile italiano. Nel caso di Hamas sembra però esserci un di più: la prospettiva di una rappresaglia israeliana di portata senza precedenti su Gaza, iniziata con un assedio che toglie acqua, gas ed elettricità e che potrebbe proseguire con bombardamenti indiscriminati, propedeutici ad un assalto con successiva guerriglia casa per casa. La strage anche di civili che ne seguirebbe, nella sciagurata strategia di Hamas, solleverebbe le masse arabe in tutto il mondo, con conseguenze imprevedibili non soltanto sugli assetti geopolitici, ma sulla stabilità e la pace in tutto il pianeta.
Groviglio irrisolvibile
Certo le orrende stragi dei coloni israeliani e dei giovani sorpresi in una festa nel deserto non gioveranno alla causa palestinese presso l’opinione pubblica occidentale, dove pure albergano settori tutt’altro che solidali con Israele; sta di fatto che questa nuova crisi complica ulteriormente un groviglio che temiamo irrisolvibile. Chiunque abbia studiato la storia dello Stato d’Israele sa che nacque nel sangue, nelle prevaricazioni verso le popolazioni residenti in Palestina, nel cinismo e nella miopia delle potenze con interessi nella regione (Gran Bretagna in primis); sa anche quanti tentativi di addivenire a una pace duratura in quel cruciale quadrante siano andati falliti, il più delle volte per responsabilità palestinesi – dell’Olp di Arafat in particolare – malgrado il sacrificio di uomini “di buona volontà” delle due parti (su tutti, Sadat e Rabin). Chi poi è stato in quelle sventurate terre, sa quanto sia difficile, ai limiti dell’impossibilità, dare attuazione al principio “due popoli, due Stati”.
C’è infatti una forte asimmetria, non solo in questa guerra, che vede contrapposti da un lato uno Stato democratico, tenuto al rispetto di convenzioni internazionali e dotato di un esercito regolare; dall’altro, bande di miliziani senza uniforme e senza legge, per di più mischiati a civili e insediati in installazioni civili. Va detto, per inciso, che la democrazia israeliana non riconosce pari diritti ai suoi cittadini palestinesi e che, sull’altra sponda, il potere di Hamas risale a un successo elettorale e viene consolidato dalla sua attitudine assistenziale, una sorta di welfare assicurato in particolare agli abitanti della striscia di Gaza. Tanto per ricordarci che la democrazia è suscettibile di non pochi distinguo.
Gerusalemme città santa
Si accennava all’impraticabilità di una soluzione negoziale: il nodo principale è rappresentato da Gerusalemme, che entrambe le parti in causa vorrebbero come capitale della rispettiva compagine statuale; ma non basta: il popolo palestinese – senza contare le quote emigrate in varie zone del pianeta – è dislocato in un patchwork territoriale all’interno dello stesso Stato d’Israele (dove un 20% della popolazione risiede ed ha la cittadinanza israeliana). Basti pensare a città come Betlemme, Gerico, Ramallah, che sono amministrate dai palestinesi e si trovano a una distanza di una ventina di chilometri da Gerusalemme. Si aggiunga che in molti casi Israele ha eretto muri e installato posti di controllo per le uscite e le entrate di quei cittadini; che la quasi totalità della popolazione palestinese è economicamente dipendente da Israele; che, non solo nei momenti di crisi, l’erogazione di acqua ed elettricità è in mani israeliane, e si capirà perché fino ad oggi non è stato possibile raggiungere un accordo di pace basato al citato principio “due popoli, due Stati” (senza contare il fatto che attualmente, data la crisi della leadership dell’Autorità Palestinese e del suo ottantottenne leader Abu Mazen, non esiste su quel versante un interlocutore credibile per ogni eventuale iniziativa diplomatica).
Se si pensa poi alle possibile connessioni con le crisi in atto in altre aree, a partire dal conflitto russo-ucraino, ma poi agli attriti fra Azerbaigian e Armenia per il Nagorno Karabak e fra Serbia e Albania per il Kosovo (senza contare i sommovimenti nella fascia subsahariana), c’è di che essere molto preoccupati. In questi giorni, abbiamo visto la determinazione di tanti giovani riservisti – e fra questi, non pochi italo-israeliani – in partenza per Tel Aviv, per rispondere alla chiamata della Patria.
Europa soggetto politico inesistente
Ecco un altro fronte inquietante per la nostra Europa, una volta di più inesistente come soggetto politico unitario: non solo invecchiamo e soffriamo di una generalizzata crisi demografica, ma abbiamo smarrito lo spirito di sacrificio e la dedizione alle rispettive patrie, che caratterizzano, insieme con la giovane età media, quasi tutti i paesi che ci stanno intorno. E allora, rovesciando il motto ciceroniano, caedant togae armis? Gli sviluppi della situazione in quella che fu la Terra Promessa ed è comunque, per le religioni di Abramo, la Terra Santa, non autorizzano troppe speranze, anche oggi che le guerre non sembrano più sfociare in una vittoria sul campo.
Israele ha preparato un cinico trappolone nel quale Hamas, il fanatismo di Hamas, è caduto. Come Roosevelt nel dicembre 1941 Netanyahu aveva bisogno di morti, molti morti ebrei, per scatenare una gigantesca rappresaglia. Una guerra senza senso, perché Gaza è militarmente come il Ghetto di Varsavia… Di certo Israele conferma che solo la ‘guerra eterna’ (e relativo appoggio USA, NATO, Ue) lo mantiene in piedi..
L’Azerbaigian ha iniziato l’operazione nel Nagorno-Karabak su mandato israeliano…
L’OLP di Arafat non poteva accettare la ‘pelle di leopardo’ di Camp David, siamo seri…