«Li vediamo passare, lontano, con quel loro bellissimo passo, alto contro il cielo… Al ritmo tende la loro fatica, come il rematore al banco. Ritmiche e soltanto ritmiche sono nell’amore le loro donne». Così scrive Alessandro Pavolini in una delle sue corrispondenze, poi raccolte nel libro La Disperata (1937), dall’Etiopia, dove si era recato volontario come tenente aviatore e inviato del Corriere della Sera nella squadriglia comandata da Galeazzo Ciano.
Vivere pericolosamente
Uomo di azione e di penna, giornalista, scrittore, promotore di cultura, Alessandro Pavolini (1903-1945) trova la felicità nella lotta politica. La fede nel fascismo e l’amore per l’Italia fanno tutt’uno in lui. Traduce in vita vissuta il motto di Nietzsche «vivere pericolosamente».
«Fascista per impazienza. Per esser contro. Per l’ambizione di scalfire. V’é una purezza estetica nelle sue azioni. E come un gatto si muove per le vie di Firenze sfiorando il marciapiede con il suo sguardo arpionico… Suo intento é scrivere versi e bastonare i sovversivi», scrive Enzo Cicchino in un pregnante ed equilibrato ritratto apparso sul sito “L’archivio”, cui volentieri rimandiamo il lettore.
Proviene dalla agiata borghesia fiorentina (il padre è un prestigioso accademico d’Italia, traduttore dal finnico del poema nazionale Kalevala), ma è molto attento ai bisogni e alle istanze popolari. Esponente di spicco del fascismo più intransigente e rivoluzionario sia durante il regime che nei seicento giorni della RSI, ricopre varie cariche da federale di Firenze tra il 1929 e il 1934 a Ministro della Cultura Popolare tra il 1939 e il 1942, fino a quella di segretario del Partito fascista repubblicano dal 1943 all’epilogo avvenuto, a 41 anni, il 28 aprile del 1945, quando ferito e catturato dopo un conflitto a fuoco con i partigiani viene fucilato a Dongo, condividendo poi a piazzale Loreto la sorte di Mussolini, di Claretta Petacci e degli altri 14 gerarchi. L’ultima raffica di Salò è la sua.
Molteplici le sue realizzazioni da federale di Firenze: l’istituzione del Maggio Musicale Fiorentino e del calcio in costume, la costruzione su progetto di Luigi Nervi dello Stadio Comunale e della Stazione di Santa Maria Novella su progetto di Giovanni Michelucci, il completamento dell’autostrada Firenze – Mare, nonché la messa in opera di un vastissimo piano di edilizia popolare. Nel 1929 fonda Il Bargello, una rivista letteraria che dà spazio anche a voci critiche e dissenzienti, sulla quale scrivono alcuni futuri grandi nomi della letteratura e del giornalismo italiano, come Vasco Pratolini, Romano Bilenchi, Ardengo Soffici, Elio Vittorini, Indro Montanelli.
Nel 1934, da Ministro della Cultura Popolare, organizza i Littoriali della Cultura e dell’Arte, una sorta di Olimpiadi del sapere a cui possono partecipare gli studenti universitari. Tra i vincitori figurano Leonardo Sinisgalli, Pietro Ingrao, Aldo Moro, Michelangelo Antonioni.
Suscita scandalo la sua relazione con Doris Duranti, l’attrice di origine ebrea, che è probabilmente la prima a comparire a seno nudo nel film “Il re si diverte”. L’ha incontrata sul finire del ‘41 mentre entrambi si aggiravano tra le macerie di Livorno bombardata. Tra i due nasce l’amore. Faticherà non poco a salvarla nella primavera del ’44 dalla deportazione nazista. E solo con uno stratagemma la costringerà il 24 aprile del ‘45 a porsi in salvo in Svizzera. I nazisti diffidano di lui, malgrado la sua integerrima fede. «Sfumata e’ la sua posizione nei confronti dell’antisemitismo, “un odio – quasi – raccapricciante” definisce quello nazista» (Enzo Cicchino).
Cavalcare la tigre
Pavolini è stimato dai letterati di ogni colore politico per le sue idee liberali e la sua flessibilità, Nel dicembre del ‘41 consente che esca in libreria “Americana” la prima grande antologia di letteratura statunitense del Novecento tradotta da Cesare Pavese. E quando nel gennaio del 43, riceve le confidenze del suo amico Romano Bilenchi, diventato antifascista, gli risponde «Tu puoi aver cambiato idea, io no. Io sono salito sulla tigre, non posso scenderne!».
È autore del primo romanzo sportivo italiano dedicato al ciclismo Giro d’Italia. Un romanzo sportivo (1927) e di un saggio dedicato alla lotta del popolo finnico per l’indipendenza L’indipendenza Finlandese (1928).
Con Benito Mussolini e Nicola Bombacci contribuisce alla stesura del Manifesto di Verona, che viene approvato durante il Congresso del Partito Fascista Repubblicano del 14 e 15 novembre 1943. È accanto a Mussolini nel famoso discorso al Lirico a Milano tenuto nel dicembre del 1944.
Scomparsa d’Angela
Nel 1940, mentre l’Italia entrava nella Seconda Guerra Mondiale, pubblica il suo ultimo libro Scomparsa d’Angela, riedito meritatamente nel 2021 dalla casa editrice Passaggio al Bosco.
Scomparsa d’Angela ricevette il plauso della critica anche non fascista ed è ritenuto tuttora il suo libro più bello. È una raccolta di sedici racconti suddivisi in quattro giornate, quasi un omaggio ad un altro fiorentino illustre, Giovanni Boccaccio, che nel Decamerone aveva diviso le sue novelle in dieci giornate.
Scrive lo storico Arrigo Petacco nella sua bella biografia “Il superfascista. Vita e morte di Alessandro Pavolini” (Mondadori, 1998): «I racconti di Pavolini sono tutti di buona fattura e alcuni veramente riusciti. Il suo stile è moderno (a volte si direbbe hemingwayano), il taglio nervoso, le conclusioni rapide. I temi che affronta sono in genere avventurosi o sentimentali, ma non mancano i bozzetti di costume o le storie della piccola gente… sa intrecciare scene d’azione violenta a momenti di poesia crepuscolare… in Scomparsa d’Angela, il racconto che darà il titolo al libro, narra con accenti di commosso lirismo di una giovane aviatrice che scompare col suo aereo nel lago: “Quaggiù i meccanici continuano a esaminare il motore, svitano, avvitano pensierosi, e noi continuiamo a guardare nel lago. Ma so che noi non troveremo nell’acqua il corpo e che essi non troveranno nel ferro un perché”».
Nei primi quattro racconti della prima giornata si respira il clima della provincia toscana dell’epoca. La politica per Pavolini non è altro che il prolungamento dell’amore viscerale per la sua terra. Dal borgo alla nazione. Lorenzo Pavolini in Accanto alla Tigre (Feltrinelli, 2019), in cui ripercorre la storia del nonno in cerca delle ragioni di una scelta esistenziale prima ancora che politica, scrive che è come se egli «sentisse la nazione e i borghi toscani in un continuum medievale, rinascimentale, barocco, risorgimentale, futurista».
Spicca tra questi quattro racconti, per la delicatezza dei toni e lo scavo psicologico, quello che è il racconto più lungo e articolato della raccolta, Fidanzata, dove si narra di un gruppo di ragazzi di varia estrazione sociale che nell’estate del 1917, capeggiati dalla giovanissima Fiamma, grazie alla «congiura delle fantasie» e alla «concordia delle trasfigurazioni» che li affratella, fanno degli ippocastani del viale, su cui ciascuno di loro si arrampica, le loro navi da guerra italiane:
«Fiamma, che era a capo di tutto, aveva preso sui compagni il potere di comando più profondo che possa esistere: quello che permette di ordinare non solo di far questo e quest’altro, ma anche di vedere in questa cosa un’altra cosa e di fare come se fosse un’altra. Essa aveva inventato il giuoco, al principio dell’estate: ora ne inventava giorno per giorno i particolari, gli sviluppi».
Ma questo giuoco non sarebbe durato a lungo. Le vicissitudini della vita disperdono la banda e nell’estate successiva si ritrovano soli Fiamma e Marino, già segretamente innamorato di lei:
«Ancora una volta Marino era davanti a Fiamma solo con lei sulla Duilio, e il cuore gli batteva forte Nel suo sentimento verso la ragazza confluivano tutt’insieme la sua passione d’obbedire, la sua affezione alla flotta, la sua soggezione di trovatello verso la signorina, il suo digiuno d’affetti».
Nel frattempo in paese crescono i disordini e le agitazioni sociali seguite al dopoguerra. Marino si rifiuta di togliere dall’albero il tricolore, che per lui rappresentava insieme la fanciullezza, il sentimento d’amore per Fiamma, il riscatto sociale e «i colori in cui imparò su un ippocastano questa cosa di nome Italia». Ma quando vede che i sovversivi stanno per bruciare in un falò la bandiera, che gli era stata sottratta, il ragazzo si precipita in paese per affrontarli e trova la morte:
«Così per un’ultima serie di attimi la sua avventura di ragazzo e la realtà fanno tutt’uno, tutt’uno nella polverosa sera, come nei lontani felici pomeriggi di quando gli alberi navigavano».
Segue la rappresaglia dei fascisti, che Fiamma intravede accovacciata sull’albero dove inutilmente ha atteso Marino:
«Sente spari in paese, un rumore come di tappi che saltano. Il paese ha gli usci chiusi, le finestre chiuse, le botteghe chiuse, quasi fosse ancora l’alba invece che mezzogiorno. Uomini corrono attraverso la piazza, strisciano i muri, picchiano alle porte, si soffermano alle cantonate. Spiccano neri, fucile brandito; e fra i marciapiedi vuoti la loro statura sembra accresciuta, come quella di certi ulivi potati e gesticolanti in piane deserte».
E quando infine qualcuno chiede se dietro al feretro ci sarà qualche familiare, se almeno verrà quella ragazza con cui lo vedevano spesso giocare ed arrampicarsi sugli alberi, Fiamma non esita mormorando fra sé e sé:
«Oh verrò. Sbarcherò anch’io per l’ultima volta dagli alberi. Non volevi che entrassi nella vita, mamma? Ci entrò da tua fidanzata, Marino, vicina vicina alla tua testa come quel giorno che pioveva».
Nei racconti della seconda giornata sono protagonisti uomini e donne di giovane età, con le loro aspirazioni, i loro egoismi e le loro rivalità in campo sportivo, nella corsa, nel calcio, nelle bocce, nel volo. Ed altri giovani sono i protagonisti della terza giornata, dove troviamo, quello che Vincenzo Fratta in EdicolaWebTV giudica il più politico dei racconti, Sotto il disegno di un’aquila. Il protagonista è qui un aviatore, che incarna l’uomo nuovo del Fascismo, arrivato per la trascorrere la notte in una delle città nuove fondate dal regime. La mattina al risveglio, mentre comincia a scrivere una lettera alla fidanzata, vede dal balcone venirgli incontro un contadino che l’ha scambiato per l’autorità e gli chiede di prendere nota della nascita del figlio. E l’aviatore, con dissimulato orgoglio, non si tira indietro e subito prende nota delle generalità dei genitori e del nome di quel primo nato a Guidonia su quel foglio dove stava abbozzando una lettera d’amore, ripromettendosi più tardi di andare al Comune per regolarizzare la situazione:
«Per adesso gli piace pensare che il primo nato di Guidonia è stato registrato sotto il disegno di un’aquila, nel primo foglio di una lettera d’amore».
I racconti dell’ultima giornata infine sono ambientati all’estero, in Sud America, in Romania, in Etiopia e in Spagna durante la guerra civile. Riuscito e di grande bellezza è Levriero d’Irun, che è il racconto che più fa pensare allo stile scorrevole, teso, tutto azione di Hemingway. Anche in questo racconto, che si svolge in prima persona, protagonista è un aviatore, che deve raggiungere la Francia per una licenza. Durante il tragitto in treno acconsente alla richiesta di un combattente di portare alla famiglia, passando per Irun, il levriero appartenuto al suo capitano morto durante gli scontri. Pavolini descrive magistralmente la strana indolenza del levriero, finché arriva a Irun, la città rasa al suolo dai repubblicani in fuga dopo la battaglia che vi ebbe luogo tra il 19 agosto e il 5 settembre del 1936:
«Un vento oscuro e violento percuote i viali sconvolti. S’indovina il golfo in tempesta laggiù, l’aspro mare Cantabrico. E procedendo tra facciate simili a quinte senza spessore, nere, isolate, bucate, e tra lampioni gesticolanti come ulivi, vien da pensare che qui l’ira di una gente disperata ed ermetica si sia voluta scaricare a gara con il ciclone, con il maremoto, con le forze perentorie ed insensate degli elementi».
In prossimità di quel che resta dell’abitazione dei familiari il levriero, improvvisamente rianimato, gli sfugge di mano e a nulla serve richiamarlo. E il racconto termina con questa riflessione del protagonista:
«Che cosa importa se un filo di questa tragedia m’è passato fra le mani un momento, in forma di un guinzaglio? A un tratto mi sento di nuovo estraneo, estraneo fino alla paura, e inciampando torno nel viale, a seguire il carretto verso il confine».
Meglio come intellettuale ed organizzatore culturale che come Capo di un partito in guerra… Il ‘Ridotto Alpino’ della Valtellina(!)… Con un altro Segretario del PNF non sarebbero morti in tanti, inutilmente… Mussolini ormai aveva perso ogni senso pratico. Esemplare quanto disse dopo la guerra il Generale Wolff: “certo che tenni all’oscuro il Duce dalle trattative di pace in Svizzera nel ’45. Lui l’avrebbe raccontato subito a Claretta od a Rachele e…addio segretezza!”
Complimenti a Marano.
Solo un piccolo inciso: Pavolini di idee liberali? Ritengo ideali di libertà i suoi
Pavolini era considerato di idee liberali quando era il delfino di Ciano. Divenne intransigente al tempo della RSI
@il nazionale: giusta precisazione, intendevo dire che aveva un atteggiamento liberale, tollerante, aperto nei confronti di letterati ed artisti anche non allineati al regime
@Sandro
Molte Grazie. Ancora complimenti per il Suo scritto, ma giusto per non equivocare vedo che la pensiamo allo stesso modo. Proprio per i suoi atteggiamenti Pavolini e stato un Personaggio intellettualmente libero la cui libertà si è rivelata e confermata proprio nei confronti di chi non era allineato