L’ossequio per l’autorità giudiziaria è doveroso. La libertà d’opinione contempla anche il diritto di criticare una sentenza. Un tempo era scontato coniugare questi due principi. Oggi decisamente meno. Lo dimostrano le polemiche divampate in occasione della recente ricorrenza della strage di Bologna. Polemiche impensabili negli anni ’90, quando erano autorevoli esponenti della sinistra a esprimere pubblicamente dubbi sulla colpevolezza di Fioravanti e compagni. Ora cosa è cambiato? Sicuramente si sconta l’imbarbarimento del confronto politico scaturito dall’esito elettorale. Anche il dibattito sulla strage di Bologna è stato trasformato in una crociata ideologica, fuori dal tempo e dalla realtà.
Ma ad avvelenare il clima non c’è solo l’ennesimo tentativo di mettere in difficoltà l’esecutivo Meloni con argomenti da prima Repubblica. Oggi la posta in gioco è molto più alta perché rischia di emergere una verità di segno opposto sul 2 agosto 1980. Oggi molti innocentisti non si limitano a manifestare dubbi sulla ricostruzione giudiziaria. Ricercatori e storici, anche di sinistra, ritengono più convincente lo scenario iniziato a delinearsi ai tempi della commissione Mitrokhin. Le tre stragi del 1980 (Bologna, Monaco e Parigi) sarebbero opera delle frange estreme dell’Olp.
Attentati senza rivendicazione ufficiale che sanzionavano il supporto dei paesi europei agli accordi di Camp David. Tale ipotesi ha ottenuto di recente un importante riscontro. Lo scorso aprile in Francia è stato condannato in primo grado, per la strage di Rue Copernic del 3 ottobre 1980, un militante palestinese. La presunzione di non colpevolezza è doverosa ma il cerchio sul contesto delle stragi inizia a stringersi. Ciò anche grazie al processo di desecretazione in corso dei documenti dei servizi segreti non solo italiani.
Ma c’è dell’altro a rendere il clima più teso. Durante il recente processo a Gilberto Cavallini, compagno di Fioravanti, è stato identificato il DNA di una vittima di sesso femminile. I reperti che lo contenevano erano ricchi di tracce di esplosivo. A oggi il DNA della discordia non è stato ancora associato a una vittima censita. Gli avvocati della difesa sostengono che apparteneva alla trasportatrice dell’esplosivo, detonato per errore prima di giungere al suo reale obiettivo. La 86esima vittima è una ipotesi che spaventa e genera tensione. Ma forse sarà proprio la scienza a dire l’ultima parola sull’esplosione alla stazione di Bologna. Una ferita ancora aperta per l’intera comunità nazionale. Senza distinzioni politiche.
*avvocato e autore con Rosario Priore del libro «I segreti di Bologna»
Certo, ci sono le sentenze anche se non tutte concordati. Dubbi ve ne sono e quindi ricercare altre piste e’doveroso anche perche’ ci sono Seri lavori giornalistici come quello di cui ha scritto la Verita’ intervistando l’autore
È una vergogna tirare in mezzo l Olp o i palestinesi.pensare che Gelli ,D amato e Mario Tedeschi siano intervenuti per coprire i palestinesi da ridere. Sicuramente c è una componente internazionale ,ma sicuramente gli autori materiali sono italiani,direi dalle parti di Gladio.
Non ho gli strumenti per giudicare, mi limito a un’osservazione non ideologica. Una volta per condannare una persona ci volevano o la “pistola fumante” (la flagranza di reato), o la confessione, non ritrattata, o più testimonianze storiche (unus testis, nullus testis, dicevano i latini). Oggi invece prevalgono i processi indiziari. L’ “al di là di ogni ragionevole dubbio” si è spostato. Non esistono prove storiche per le condanne per la strage di Bologna, ma deduzioni derivanti dalle testimonianze, spesso de relato, di pentiti. Mi domando se sia possibile condannare un uomo all’ergastolo per meri sospetti. Ho l’impressione che spesso il giudice si limiti a scegliere, fra due ipotesi, quella più plausibile, invece di ricercare la certezza. L’abolizione dell’assoluzione per insufficienza di prove è stata secondo me determinante in questa direzione.
A questo occorre aggiungere un dato politico. In un primo tempo Cossiga parlò subito dopo l’esplosione di “strage fascista”. Dopo l’assoluzione in appello degli imputati, da presidente della Repubblica, si scusò pubblicamente per quell’affermazione. Poi venne l’intervento della Cassazione e la condanna. Era il 1992 e il clima politico era cambiato; la sinistra cercava una rivincita giudiziaria al crollo del Muro di Berlino. Purtroppo erano cambiati anche i vertici della Magistratura: gli ermellini degli anni Novanta erano i pretori d’assalto di venti anni prima. Un galantuomo come Carnevale, linciato per avere annullato sentenze non adeguatamente motivate, non credo che avrebbe condannato Fioravanti & C. senza prove certe. Carnevale non era (non è: è ancora vivo) né di destra né di sinistra. Era solo un giudice che credeva nella certezza del diritto e non pensava che si potesse condannare un imputato sulla base delle dichiarazioni di un delinquente comune.
Quanto ho scritto per un caso politico, vale naturalmente anche per molti casi non politici. La vergogna dell’arresto di Tortora non ha insegnato niente.