Alain de Benoist filosofo, ideatore della Nouvelle Droite e autore di numerose opere tradotte anche in italiano, commenta così con il Giornale (intervistato da Francesco Giubilei) la crisi sociale che attraversa la Francia.
Multiculturalismo fallito
«Certamente dimostrano che il multiculturalismo ha fallito, ma non è solo questo. Le violente rivolte urbane a cui stiamo assistendo in questi giorni sono anche la prova di un Paese diviso e frammentato, non a causa degli immigrati, ma a causa di un’ideologia dominante che ha sostituito la legge del profitto alle regole morali nella popolazione generale. In una società dominata dai valori del mercato, che creano strutturalmente le condizioni per la frammentazione e il disfacimento sociale, non dovrebbe sorprendere che nessuno si preoccupi del bene comune. La sinistra ha visto le rivolte soprattutto come una rivolta sociale (contro la discriminazione, l’esclusione, la disoccupazione, ecc.), mentre la destra ha parlato di una rivolta etnica che preannuncia una guerra civile. Entrambe le interpretazioni sono in parte vere, ma entrambe sono miopi».
Periferie e rivolte urbane
«Per quarant’anni sono stati investiti decine di miliardi di euro nella politica urbana e nel recupero dei quartieri difficili, senza alcun risultato. In secondo luogo, la guerriglia urbana non è una guerra civile. In una guerra civile si scontrano due settori armati della popolazione, con la polizia e l’esercito equamente divisi, cosa che non avviene oggi. In generale sono le interpretazioni strettamente politiche che si dimostrano incapaci di comprendere la piena misura del problema. Le attuali rivolte urbane non sono di natura politica. I rivoltosi non hanno richieste da fare. Vogliono solo distruggere e saccheggiare. Quando i rappresentanti della sinistra o dell’estrema sinistra si recano nei quartieri residenziali per far capire che comprendono la rabbia dei rivoltosi, sono espulsi o ricevono sputi in faccia!»
La crisi identitaria
«La popolazione francese ha perso il senso di appartenenza a una comunità. I rivoltosi ne hanno uno, o credono di averne uno. La crisi d’identità francese ha radici antiche. È il risultato dell’influenza di un’ideologia al tempo stesso individualista e universalista basata sul credo che le persone siano uguali dappertutto e che i fattori etno-culturali siano irrilevanti. Nessuna società può risolvere i suoi problemi aggiungendo solo contratti legali e scambi commerciali».
«Sono più radicalizzate perché soffrono una mancanza di identità maggiore. Queste rivolte non sono mai il risultato di immigrati di prima generazione, che sono arrivati in Francia volontariamente mantenendo una chiara consapevolezza delle origini, e quindi dell’identità. Gli immigrati di seconda, terza e quarta generazione si considerano algerini, maliani, marocchini, senegalesi anche quando hanno la nazionalità francese, ma non sanno praticamente nulla dei Paesi da cui provengono i loro genitori o nonni. Non si sentono francesi, ma hanno solo un’identità alternativa artificiale o fantasiosa. La loro frustrazione è totale. Possono esprimere ciò che sono solo attraverso la violenza e la distruzione».
Il futuro delle identità
«Destinate a sparire? Mai dire mai! I vecchi Paesi europei hanno attraversato prove ben peggiori in passato e si sono sempre ripresi. Qualsiasi cosa accada ha il potenziale per provocare una reazione in senso opposto. La storia è imprevedibile. È per definizione il dominio dell’imprevisto».
La loro frustrazione ? Frustrato è il popolo che assiste alla devastazione delle proprie città ad opera di feccia africana che vive di sussidi e di espedienti. Revoca della cittadinanza e del sussidio, espulsione, legge marziale. Devono sperimentare la sorte che toccherebbe loro se vivessero nei rispettivi paesi d’origine. Basta tollerare, basta cercare di capirli. Iniziare piuttosto a prendere coscienza della necessità di reagire e difendere con ogni mezzo la propria strada, il proprio quartiere, la città, la nazione, l’Europa.
Seguo e seguirò sempre De Benoist, mi ha dato molto e mi sento “in debito” con lui, peccato che sia ossessionato dal mercato il quale viene visto come la causa di tutti i mali.
Il mercato è l’ultimo dei mali.
Se ci fosse un vero mercato, senza eccessi di burocrazia, fiscalismo, sindacalismo, concorrenza straniera sleale ecc., anche de Benoist non rimpiangerebbe l’URSS, peraltro andata in malora anche per l’assenza di ‘mercato’.
L’importante è non infastidire i mercati…