L’ultima fatica di Giovanni Sessa, Icone del possibile. Giardino, bosco, montagna edito da Oaks (per ordini: info@oakseditrice.it, pp. 339, euro 25,00), porta a compimento la maturazione di un pensiero che aveva mosso importanti passi già in altre due opere dell’autore: Julius Evola e l’utopia della Tradizione (Oaks, 2019) e, soprattutto, L’eco della Germania segreta (Oaks, 2021). Nella prima opera, Sessa presenta il pensiero di Evola letto alla luce della potenza dionisiaca, una filosofia non intesa quale disciplina logocentrica, bensì come esperienza e sperimentazione della possibilità dell’impossibile, centrata sull’aver contezza della co-appartenenza di essere e nulla, di libertà e necessità, di verità ed errore. Nella seconda opera Sessa si sofferma su alcuni autori (Lōwith, George, Klages, Benjamin, Jünger) che nel Novecento riproposero il pensiero cosmico, il logos physikós e che Giorgio Colli tematizzò nella sua esegesi dei Presocratici.
Nelle pagine di, Icone del possibile. Giardino, bosco, montagna, Sessa si concentra sull’urgenza di ripensare la physis in senso greco e originario e lo fa conducendo il lettore in un itinerarium mentis in natura che attraversa tre luoghi iconici: il giardino, il bosco e la montagna. Il volume è impreziosito dalla prefazione di Massimo Donà e dall’introduzione di Romano Gasparotti, filosofi veneziani con cui Sessa condivide l’esigenza di superare il pensiero metafisico e fisiocida, responsabile dell’oblio della physis.
Nell’epoca dell’indigenza, e degli ecologismi ciarlieri e pseudo-conservativi che si muovono all’interno del medesimo pensiero omologante e globalizzato, Sessa prova a illuminare sentieri altri e percorribili, volti a incontrare il cosmo vivente, non più ridotto alla dimensione cosale dell’ente e nemmeno interpretato come suo grande contenitore. L’autore muove dalla critica heideggeriana alla onto-teo-logia, che pensa gli enti di natura a muovere dall’ essenza separata dall’esistenza, da una forma-sostanza pensata come fossilizzata, isolata ed escludente, facile preda di concettualizzazioni filosofiche e scientifiche che fagocitano l’altro riducendolo a oggetto manipolabile. Lo stesso Heidegger, a dire di Sessa, pensa e muove i propri passi ancora all’interno di un orizzonte metafisico, imbrigliato nella teologia ebraica, nel dualismo e nelle conseguenti procedure escludenti (autentico-inautentico, essere-ente). La natura, al contrario, è relazione, continuo superamento dinamico di una forma: proprio nelle metamorfosi possiamo esperire «i ritmi diversi ma simili del principio infondato, della dynamis». Il cammino conduce, attraverso una minuta e ricchissima analisi culturale, proprio nei luoghi in cui è più chiaro il prevalere della potenza sull’atto, di una dinamicità che non è «mai paga dell’attualizzazione cui è pervenuta».
Nella dimensione del giardino, in quella boschiva e montana, la visione della physis si realizza sotto l’egida di Artemide e Dioniso: non ci troviamo di fronte a una natura rassicurante che placa le ansie attraverso gli “spazi verdi” e rinfranca i corpi dei lavoratori durante le gite domenicali; piuttosto, siamo posti in faccia alla vita inesauribile della physis, alla potenza del divenire incessante, a energia sempre cangiante e mai oggettivabile senza violenza.
L’opera di Sessa, si badi bene, non ha a che fare neppure con il “buon ritiro” di un soggetto in fuga dal mondo o che si limiti a contemplarlo in una perfetta solitudine boschiva o montana. È un’opera politica sotto diversi aspetti: il pensare originariamente la physis, non rinvia a fantomatiche età dell’oro né induce nostalgia per paradisi perduti, piuttosto, è il richiamo alla pienezza iniziale, come foriera di possibilità ulteriori e inespresse, è il richiamo al sempre possibile e mai scontato darsi dell’origine, è la possibilità di tendere «agguati al pensiero dominante e agli assetti politici del presente, falsamente ritenuti intoccabili “monumenti”, testimonianti la fine della storia». Si tratta di una visione aperta della storia, lontana dallo storicismo progressista e dalla visione determinista involutiva: vero antidoto contro l’interpretazione reazionaria del pensiero di Tradizione. Inoltre, i contenuti di questo volume «tendono a de-colonizzare l’immaginario contemporaneo dai valori imposti» dalla Forma-Capitale. È importante attuare oggi un ri-orientamento filosofico: il testo che recensiamo se ne fa latore. La concettualizzazione, figlia della logica fisiocida, esclude, infatti, la polarità e la dinamicità del reale. Per tale ragione, Sessa richiama l’importanza dell’ “amentale”, dell’anoia, di un “pensiero immaginale”, come indispensabile per superare l’oblio della physis attraverso la custodia del mistero, dell’indicibile e dell’invisibile. Una natura non reificata, non ridotta a oggetto di manipolazione, incontrata nella sua presenza e potenza primigenia, al di là della facile contrapposizione soggetto ed oggetto e oltre le prevalenti catalogazioni, cui è stata sottoposta dal pensiero moderno. La contemplazione della physis, propria del filosofo-giardiniere, non è fondata sul fare escludente, ma sulla compenetrazione erotica, foriera di meraviglia, di uomo e di mondo. Sessa, partendo dal giardino mesopotamico e greco, oltre a ripercorrere le tappe della formazione del giardino all’italiana, alla francese o all’inglese, mostra come nel giardino coabitino Orfeo e Prometeo in perfetta conciliazione.
Tale ri-orientamento del filosofare richiede un’anima capace «di tollerare l’esposizione esistenziale all’incertezza del domandare», un essere pronti e aperti, al di là di qualsiasi titanismo, a incontrare il fondamento infondato della vita. Sessa si fa latore di una filosofia della libertà tanto radicale da non contrapporsi dualisticamente nemmeno all’idea della necessità, una filosofia di uomini senza ali che, come gli alpinisti, appesi all’impossibile, vivono tra la terra, il cielo e l’abisso.