Con la benedizione di Barack Obama, giunto ad Atene per una conferenza organizzata dalla fondazione Stavros Niarkos, i greci possono andare a votare tranquilli domenica 25 giugno. Dopo la prima tornata elettorale di maggio, infatti, i partiti hanno deciso per una seconda consultazione popolare. Le ragioni sono presto dette. A maggio si è infatti votato secondo la legge elettorale proporzionale varata da Tsipras nel 2016. Un sistema applicato per la prima volta, visto che in Grecia le leggi elettorali entrano in vigore a partire dalla seconda consultazione successiva, e che aveva lo scopo di favorire le “grandi coalizioni”. Ora che la stabilità è diventata un requisito fondamentale dopo le tragiche esperienze dei “memorandum” e dell’umiliazione europea della Grecia, si può tornare ad un “proporzionale rafforzato”, ossia un mix di proporzionale e maggioritario approvato dal governo di centrodestra di Kyriakos Mitsotakis nel 2020. Così a maggio è stata applicata la legge voluta da Tsipras, mentre adesso si può votare la legge del 2020… Può sembrare complicato, eppure la patria della democrazia è da oltre 2500 anni un grande esempio di una certa creatività politica e normativa.
La destra neo-occidentale di Nea Dimokratia
Il premio di maggioranza di circa 50 seggi potrebbe essere tuttavia eroso dall’ingresso in parlamento di nuovi e meno nuovi partiti di destra in grado di superare lo sbarramento del 3%. E qui si apre un capitolo fondamentale. Cos’è la destra in Grecia? Qual è l’identità della destra di Mitsotakis e quale quella delle forze ad essa alternative? Rispetto alla Nea Dimokratia di Karamanlis – zio e nipote – caratterizzata da un certo dirigismo, ma anche dal pragmatismo, la “nuova destra” di Mitsotakis si configura come il tipico partito neoliberista occidentale, aperto persino a quelli che erano considerati fino a pochi anni fa dei veri e propri tabù per un partito di destra (recenti le dichiarazioni di un candidato di ND a favore dell’eutanasia e l’ampia partecipazione di esponenti governativi al Pride di Atene). Mitsotakis (MBA alla Stanford University e già consulente di McKinsey, con una storia familiare di ottimi rapporti con gli States) ha orientato inoltre la propria collocazione nazionale verso uno stretto legame con gli Stati Uniti, anche nel velleitario tentativo di impedire forniture di F35 ad una Turchia da sempre pronta a giocare su più tavoli. Mitsotakis non ha impedito l’accordo di Prespes che ha ceduto a Skopje il nome di “Macedonia del nord”, assecondando i desiderata americani e dando vita ad un falso storico nazionale. Ma l’americanismo è in Grecia trasversale. Lo stesso Tsipras nel 2018 aveva accettato una più consistente presenza delle forze armate statunitensi nella città portuale di Alexandroupoli (di lì prima della guerra in Ucraina è transitato in direzione di Bulgaria e Romania ingente materiale bellico destinato alla preparazione del conflitto da parte della NATO), a Volos, Larisa e Souda. Ci sono poi le questioni delicate dell’approccio liberista alla sanità e all’istruzione.
Il popolo vuole stabilità. L’incognita delle destre identitarie
I greci però sembrano preferire (almeno quel 60% che va ancora a votare) un governo stabile e in grado di traghettare lentamente la nazione fuori dalle sabbie mobili dell’austerity (che porta il volto di Tsipras, con Syriza secondo partito nonostante l’indimenticabile giravolta del referendum del 2015). Così in un caffè di Atene due anziani non temono di proclamare a gran voce: “Voteremo Nea Dimokratia perché Mitsotakis ci ha aumentato le pensioni di 30 euro…”. Tanto basta! Più in là dei ragazzi che salgono in sella alla propria motocicletta tenendo in mano un “fredo espresso” si dicono convinti che il partito rivelazione di questa seconda tornata, Spartiàtes, appoggiato da un ex esponente di Alba Dorata, darà filo da torcere all’establishment: “Non ci fidiamo più di nessuno, solo loro possono cambiare qualcosa…”. Una signora sessantenne, già dipendente statale ora in pensione, gesticolando col braccio carico di buste della spesa, storce il naso: “Quelli sono solo degli esaltati, hanno dei seri problemi psichiatrici…”. Spartiàtes è davvero un movimento ben strano, sotterraneo, quasi invisibile, che mira a superare lo sbarramento del 3%. Nazionalismo, sfruttamento degli idrocarburi presenti nell’Egeo, formazione di un’area commerciale esclusiva con Cipro, sviluppo di una nuova industria militare flessibile e capace di investire in tecnologie economiche e innovative (droni aerei e marini in particolare), lotta all’immigrazione, promozione della natalità. Sono questi alcuni dei punti essenziali del loro manifesto. Ma a destra ci sono altre due realtà: Ellinikì Lysi e Niki. Il primo nato da una costola del vecchio Laos di Karantzaferis, logorato dalle varie giravolte politiche verificatesi a partire dal 2011, è incarnato da Kyriakos Velopoulos, anch’egli passato dal Laos a Nea Dimokratia, per poi approdare ad un partito autonomo. Il secondo è invece una formazione che fa la sua prima apparizione elettorale. Niki è un partito di chiara matrice patriottica e religiosa, a quanto si dice supportato – e forse anche finanziato – da alcune strutture religiose con sede sul monte Athos. Inutile dire che tutte e tre queste formazioni di destra che insieme radunerebbero circa il 12% delle preferenze, si oppongono al supporto offerto dal governo Mitsotakis alla guerra in Ucraina.
Nea Dimokratia uscirà vincitrice dalle elezioni di domenica, ma la Grecia, come un po’ tutte le nazioni europee è destinata a cambiare progressivamente volto. Spinta ad abbandonare narrazioni nazionalistiche e l’ombrello protettivo dello Stato, divisa sempre più fra una classe politica e imprenditoriale ad abissali distanze da larghe fasce della popolazione e dai giovani, delusa da un sistema politico “ereditario” e in gran parte autoreferenziale, condizionata da mezzi di comunicazione e giornalisti che spesso fanno a gara in onestà intellettuale con i loro colleghi nordcoreani, la Grecia si avvia ad una nuova fase intrisa di speranze e incertezze. Ma con l’antica consapevolezza che è il dinamismo popolare, l’iniziativa del singolo, pur nelle difficoltà dell’ambiente, a costruire il futuro. Più di ogni partito, di ogni ideologia e di ogni provvisorio leader.
Analisi realistica.
L’ultimo faro della Geecia recente rimane il socialista Papandreou che nell’autunno del 2011 – l’epoca dei golpe e dei condizionamenti a suon di spread – aveva capito tutto sul come bisognava agire per salvaguardare il suo popolo e la sua nazione. Fu defenestrato in 48 ore con tutto il seguito che conosciamo. Non a caso il becchino della Geecia è stata l’estrema sinistra tanto decantata dai nostri radical-chich. Pertanto, dinanzi alla grande occasione perduta che aveva in Papandreou la speranza di una rinascita nazionale, fra il destro Mitsokatis ed il sinistro Tsipras non vi è proorio alcuna differenza, ormai anche la Grecia è stata “normalizzata”.
L’ultimo Papandreu era più americano che greco…