Correva l’anno 1979, esattamente il 20 giugno, allorquando il Parlamento italiano, eletto per la terza volta anticipatamente dal 1972, aprì i battenti alla VIII Legislatura nata dal voto del 3-4 giugno.
Accadde, però, che al Senato vi fu una massiccia e fulminea mobilitazione delle forze antifasciste Pci e Psi, in quanto stava per verificarsi un evento sensazionale nella storia della Repubblica riguardo il senatore più anziano di età, che per regolamento avrebbe dovuto presiedere la seduta inaugurale dell’Assise.
Prima di rievocare quanto accadde, è necessario esaminare il contesto di quel periodo. Minata dalla incalzante sfida terroristica con un paese in piena crisi morale, sociale, economica ed istituzionale, l’Italia era giunta al rinnovo del Parlamento dopo la stagione del compromesso storico Dc-Pci (agosto 1976 – gennaio 1979 con due Governi retti da Giulio Andreotti), formula politica avanzata nel 1973 dal segretario comunista Berlinguer e tessuta dal leader DC, Moro, in continuità con il pensiero degasperiano di fare della Balena Bianca democristiana un «partito di centro che guarda a sinistra».
Basato sulla granitica alleanza Dc-Pci, il compromesso storico ebbe per comprimari Psi, Psdi, Pri, Pli, con questi ultimi che si defilarono dal II Governo Andreotti di compromesso il 16 marzo del 1978, giorno in cui venne falciata dalle Brigate Rosse la scorta di Moro con conseguente rapimento di quest’ultimo, rinvenuto morto il 9 maggio successivo.
Ma quali furono le novità degne di nota, durante il compromesso storico Dc-Pci?
Da annotare – anche se nel merito non vi è stato alcun approfondimento – la improvvisa eclissi dello stragismo che, attivo seppur ad intermittenza nel periodo 1969-1974, quindi prima del compromesso storico, riprese visibilmente quota – sempre ad intermittenza – dopo la predetta formula politica a partire nel 1980 perdurando fino al 1984.
L’approvazione della legge sull’aborto – maggio 1978 – suscitò aspre critiche da una parte del mondo cattolico alla Dc, rea di non aver fatto cadere il Governo.
Sicuramente, alcuni successi furono conseguiti dal Psi. Guidato dal luglio 1976 da un giovane segretario, Bettino Craxi, il leader riformista riuscì a fare eleggere nel luglio 1978 per la prima volta al Quirinale un socialista: il partigiano Sandro Pertini. Inoltre, nei giorni cupi del sequestro Moro, Craxi, fautore di una trattativa con i terroristi rossi tesa a salvare la vita al leader Dc, si attirò durissimi attacchi in primo luogo dal Pci. Certo è che la linea della trattativa di lì a poco avrebbe preso corpo con la “legge sui pentiti”, un vero e proprio armistizio sottoscritto fra la classe politica dirigente ed istituzionale ed i terroristi i quali, dinanzi agli arresti ed alle prime difficoltà, non credendo ai loro folli progetti – e non poteva essere altrimenti – accordandosi con uno Stato incapace di portare a fondo la lotta al crimine, beneficiarono di lauti sconti di pena nonostante i tanti eccidi perpetrati.
Le politiche del 1979
Ma come giunsero le forze politiche alle elezioni del 3-4 giugno 1979? Quasi tutte più o meno “azzoppate” visti, in primo luogo, l’orrore e morte seminati dal terrorismo, in quel momento sicuramente in vantaggio su di uno Stato impreparato a fronteggiare la predetta emergenza nonostante gli immani sforzi dei tutori dell’ordine.
La Dc, partito di maggioranza relativa, confermò sostanzialmente il 38% del 1976.
Con il 30% dei voti, il Pci venne sconfitto perdendo ben 4 punti in percentuale rispetto al 1976. Evidentemente il compromesso storico non riscosse il gradimento in primo luogo da quel vasto elettorato di opinione, dotato di un’ampia base giovanile, che a metà degli anni Settanta, cogliendo nel partito di Berlinguer un segnale di novità e rinnovamento, aveva riversato valanghe di voti sul Pci (regionali 1975, 33,4%; politiche 1976, 34,37%).
Psi e Psdi considerarono un’autentica vittoria il leggero aumento di voti. Se il Pri di La Malfa rimase stabile, il Pli guidato da Valerio Zanone invertì, seppur di poco, il trend negativo datato 1968. Chi poté cantare vittoria fu il Partito Radicale di Pannella che dall’1,07% del 1976 balzò al 3,45%.Di rilievo, inoltre, la conferma dei comunisti del Partito di Unità Proletaria che si ripromettevano di contestare la politica compromissoria del Pci, in primo luogo con il potere Dc.
Dopo gli incredibili successi dei primi anni Settanta (1970-72), logorato da una drammatica scissione – dicembre 1976 – operata dalla componente moderata che contestava la linea politica del segretario Almirante, il Msi-Dn tornò in Parlamento certamente ridimensionato rispetto alle politiche del 1976, ma alquanto baldanzoso per aver sconfitto, in un durissimo derby elettorale – e non solo elettorale – giocato a Destra, gli scissionisti di Democrazia Nazionale che non riuscirono ad eleggere alcun parlamentare. Probabilmente i demonazionali pagarono anche la fiducia accordata al II Governo Andreotti pro compromesso storico.
Il ruolo di Nenni
Il 10 giugno 1979 l’Europa elesse per prima volta a suffragio universale il Parlamento Europeo: i risultati italiani confermarono quelli delle politiche. Vediamo cosa accadde nella seduta inaugurale del Senato, il 20 giugno 1979.
Per regolamento, in qualità di decano, doveva toccare al senatore a vita Ferruccio Parri, uno dei padri della Repubblica, presiedere la seduta essendo nato nel 1890. Non essendo Parri in buone condizioni di salute, il predetto compito lo avrebbe dovuto esercitare un altro padre della Repubblica: il senatore a vita Pietro Nenni, nato nel 1891, esponente socialista. Ma anche Nenni era in malconce condizioni di salute (morirà il 1° gennaio 1980). A questo appunto stava per accadere un qualcosa di incredibile nella breve storia della Repubblica: a presiedere la seduta inaugurale del Senato sarebbe stato Araldo di Crollalanza, classe 1892, già Ministro dei Lavori Pubblici di Mussolini, senatore missino, dal 1953 eletto plebiscitariamente nel collegio di Bari.
Veementi furono le pressioni su Nenni affinché, “anche in barella” andasse a presiedere la seduta inaugurale del Senato.
Raccontò in seguito Pietro Nenni:
“Ho presieduto la seduta al Senato per l’elezione di Fanfani. […] Il giorno sette avevo scritto a Fanfani [Presidente uscente, ndr] che non ero in condizione di presiedere. Peggio di me stava il decano Ferruccio Parri. Se io non mi rendevo disponibile la presidenza sarebbe toccata al senatore Crollalanza, missino, già ras di Bari all’epoca del fascismo, una vergogna per il Senato repubblicano. Ho quindi tagliato corto assumendo la presidenza”.
Scongiurato il pericolo Crollalanza, Dc e Pci si divisero le presidenze dei due rami del parlamento eleggendo per la prima volta una donna alla Camera, la comunista Nilde Jotti, al Senato il navigato Amintore Fanfani.
Il giorno dopo, l’organo del PCI, «L’Unità», scrisse:
“Ma Nenni ha deciso di essere comunque al suo posto, anche perché in caso di sua assenza la presidenza provvisoria dell’assemblea sarebbe toccata per regolamento (il più anziano per età anagrafica) al fascista Crollalanza, un ex gerarca di Mussolini il cui passato politico è zeppo delle nefandezze del regime fascista. Sarebbe stato un vero e proprio insulto alla democrazia repubblicana” («Fanfani rieletto presidente del Senato», pi.s., «L’Unità» 21 giugno 1979»).
Per il quotidiano del PSI, «Avanti», Glauco Marocco annotò:
“L’elemento più significativo è stata la presidenza provvisoria dell’assemblea al compagno Pietro Nenni, quale senatore più anziano presente. Un significato che non è solo legato alla sua figura, alla sua personalità, al suo prestigio, ma anche al fatto che la sua presenza ha evitato al Senato l’offesa di una presidenza, sia pure limitata a qualche ora, del missino ed ex gerarca della Repubblica di Salò Araldo Crollalanza”.
(«Fanfani confermato presidente del Senato», «Avanti» 21 giugno 1979).
Di Araldo di Crollalanza scrisse questo epicedio Indro Montanelli: “Eppure, di lui si parlava pochissimo. Non apparteneva alla nomenclatura del regime, e lui non fece mai nulla per entrarci. Credo che abbia visto Mussolini poche volte in vita sua: forse solo all’inaugurazione delle grandi opere, di cui era lui il vero artefice, e di cui Mussolini si appropriava. Non fece mai parte del Gran Consiglio. Ma quando gli chiesi come vi si sarebbe comportato la notte del 25 luglio, mi rispose senza esitare: «Sarei stato dalla parte del Duce, e poi avrei fatto il possibile per impedire la condanna a morte di chi era stato contro». Lo aveva dimostrato, del resto, con la sua condotta. Dopo l’8 settembre, raggiunse Mussolini a Salò, ma rifiuto qualsiasi in-carico politico. Cercò solo di creare un tessuto amministrativo «per salvare il salvabile», e a qualcosa riuscì.
Dopo il 25 aprile, non si nascose, e si lasciò arrestare e processare per «atti rilevanti». Ma sebbene questo accadesse nel momento dei più accesi bollori epurativi, dovettero assolverlo in istruttoria: non una voce si levò ad accusarlo di qualcosa, e ogni indagine sul suo patrimonio risultò vana: I’uomo che avev a costruito città e redento province non aveva una casa, né un palmo di terra, né un conto in banca.
Entrò, per coerenza nel Msi, e i pugliesi lo elessero senatore per sette legislature di seguito. Nessun suo collega degli altri partiti trovò qualcosa da obbiettare quando il presidente Fanfani propose di conferire a Crollalanza, in occasione del suo novantesimo compleanno, una medaglia d’oro. Fu l’ultima volta che lo vidi. Era commosso. Gli chiesi se del suo passato covava qualche rimpianto o rimorso. Mi rispose, a voce bassissima: «Uno solo, ma immenso: in quei vent’anni potevamo fare l’Italia, e non la facemmo». Ma se c’era un uomo a cui questo rimprovero non poteva essere mosso, era proprio lui”.
Bel ricordo.
ricostruzione storica egregia, complimenti