Per i maliziosi la battuta appare facile, quasi scontata: forse il comunismo è davvero finito. Certo è che, a non essere maliziosi, fa davvero tenerezza osservare la disputa sulla leadership del Partito democratico come una partita tutta post democristiana. Letta al governo e Renzi al partito. I comunisti, insomma, “non mangiano più nessuno” e in un solo boccone vengono divorati. Così la sottile linea rossa che teneva insieme la storia del Pci-Pds-Ds-Pd sembra destinata a rompersi sotto i tagli del sindaco di Firenze. Il sostegno offerto alla sua candidatura dal ministro Franceschini e dalla corrente AreaDem in un sol colpo chiude il congresso del Pd e mette nell’angolo la componente diessina raccolta intorno all’ex segretario Bersani. Il quale in queste settimane dovrà decidere se puntare su Gianni Cuperlo o individuare una figura più autorevole. Che non sarà facile trovare.
La notizia, comunque, è che l’apparato di provenienza ex Pci non avrà più la golden share dei democratici. Sarà minoranza, sebbene Bersani proprio non ci sta ad essere sconfitto due volte. La vittoria alle primarie del dicembre scorso avevano lasciato immaginare una corsa spedita verso Palazzo Chigi. Così non è stato. Non solo e non tanto perché il giaguaro Berlusconi era lungi dall’essere smacchiato. Ma perché, da un lato, la sua candidatura non ha sedotto quell’elettorato che non frequenta le feste dell’Unità o i convegni della Cgil. Che in Italia è sempre maggioritario. Mentre dall’altro non rispondeva minimamente alle aspettative di un elettorato deluso dalla politica e sfibrato dalla crisi, che ha preferito votare Grillo.
Gli argomenti utilizzati contro la corsa del sindaco (“Cerchiamo un buon segretario e non un leader”, “Il partito non è un taxi per Palazzo Chigi”) dimostrano, in questo senso, tutta la distanza immaginabile sulla forma partito e il concetto di leadership. Come se il malato da curare non fosse il Paese ma solo il Pd. Roba da retaggio culturale. Mentre quella di Renzi rappresenta una figura di leader antitetica a quell’idea di partito pesante che negli anni è diventato il Partito democratico: un monolite di 200 dipendenti in cui l’ultimo funzionario a Roma conta più di un sindaco di una media città di periferia. Che Matteo Renzi ha tutta l’intenzione di rivoltare come un calzino. Da qui la decisione di prenderne in mano direttamente la guida e diffidando di chi, troppo gattopardescamente, sta salendo in queste ore sul carro del vincitore.
@caniosmaldone