L’antifascismo ha tanti volti. Per questo, a volerlo leggere con attenzione, appare complicato focalizzarlo in un’unica ragione d’essere. La stessa Resistenza, della quale, il 25 aprile, si “celebra” la vittoria, è una realtà arcobaleno.
Fu guerra di liberazione nazionale (contro l’invasione dello straniero, ex alleato) e guerra civile (contro i fascisti). Fu guerra politica (viste le diverse componenti partitiche del CLN) ed ideologica (contro i nemici “di classe”, non necessariamente fascisti, ma anche borghesi, cattolici, liberali).
Il nostro invito è allora di non perdere di vista, sulle ali della retorica, le vere e proprie stratificazioni politico-ideali che, prima e dopo il biennio di sangue 1943-1945, determinarono l’antifascismo. Da questo punto di vista parlare di antifascismo democratico-cristiano , di antifascismo azionista, di antifascismo comunista, di antifascismo socialista, di antifascismo liberale, significa verificare, nel concreto dell’agire politico e nel manifestarsi delle diverse classi dirigenti, quelle distinzioni e contraddizioni “di sostanza”, che possono aiutare a superare ogni visione falsamente unitaria dell’antifascismo.
Come ebbe a scrivere, in “Quale Resistenza ?” (1977), Sergio Cotta, docente universitario di orientamento cattolico e comandante di una brigata partigiana : “… l’antifascismo di Matteotti non è certo quello di Gramsci e Togliatti; l’opposizione dell’Aventino non s’identifica con quella di Giolitti; l’antifascismo di don Sturzo non coincide con quello di Bonomi o di Serrati. Così pure, sul piano culturale, l’antifascismo di Croce non è quello di Gramsci o di Rosselli. Del resto, all’estero le travagliate vicende del Concentramento antifascista, dei rapporti fra comunisti e socialisti, fra GL e socialisti, offrono la prova chiarissima di profonde divergenze”.
Alla Democrazia Cristiana, formalmente legata alla propria “vocazione antifascista”, ma anche erede di quel Partito Popolare che aveva partecipato al primo Governo Mussolini, fa, d’altra parte, riscontro un Partito Comunista che declina l’antifascismo con alcuni dei riferimenti essenziali del proprio percorso politico ideologico. E’ il Pci operaista (che coniuga la lotta al fascismo con quella al capitalismo), istituzionale (che individua nell’antifascismo lo strumento per essere accreditato come “forza democratica”), terzomondista (che declina antifascismo e solidarietà internazionalista).
E’ un Pci che non rinuncia, negli Anni Cinquanta, al suo ruolo “conflittuale”, utilizzando sempre l’antifascismo quale arma di lotta politica contro la Dc, accusata di tradire la Resistenza e di essere al soldo delle “classi reazionarie” che avevano portato alla nascita del fascismo. Nel contempo la Dc aveva buon gioco ad accusare il Pci di collusioni con il sanguinario potere moscovita e di seguire la politica del “doppio binario”, formalmente “legalitaria”, ma capace di agitare le piazze e di mantenere attiva una struttura paramilitare (dalla milanese Volante Rossa al “triangolo della morte” in Emilia, con circa tremila esecuzioni sommarie).
Nel 1955, in un articolo, pubblicato da “Rinascita”, per il decennale del 25 aprile, Luigi Longo evidenziava come “nella Resistenza italiana l’esigenza della libertà è andata di pari passo con l’esigenza di eliminare per sempre non solo ogni manifestazione del fascismo, ma ogni rapporto economico e sociale che lo potesse far risorgere”. Il nuovo fascismo – in sostanza – era la Dc, a cui un altro dirigente del partito, Piero Secchia – negli stessi anni – negava ogni legame con l’antifascismo, in quanto espressione della “grande borghesia italiana”, dei gruppi “conservatori e reazionari”.
Ancora durante gli Anni Settanta, sempre il Pci parlava di “nuova Resistenza”, la quale – scriveva, su “l’Unità”, Longo, in occasione del trentennale del 25 aprile – “faccia fare al nostro paese una nuova decisiva avanzata democratica, liberandolo da ogni subordinazione all’imperialismo americano, dalla arretratezza e dalla miseria”. Nel 1978 arrivò il “Compromesso storico”, con lo scambievole “sdoganamento” delle forze in campo.
Per capire veramente che cosa fu il 25 aprile, nei 78 anni della storia dell’Italia repubblicana, bisogna partire anche da quelle storie, da un antifascismo passepartout , buono, a seconda delle stagioni, per chiudere alleanze e aprirne di nuove, per giustificare politiche ed alimentare divisioni, per nascondere atrocità e creare ingiustificate attese messianiche. Andando, in definitiva, oltre una visione strumentale dell’antifascismo. Per ricomporre storicamente il quadro complesso delle vicende che hanno caratterizzato il Novecento italiano. Per ridare finalmente un senso positivo alla nostra identità democratica. Senza strumentalismi di parte.
Giorgio Pisanò, pur avendo scritto Storia della guerra civile, negli ultimi anni della sua vita (credo nel 1993) quando ci furono momenti di libertà di opinione (vedi Combat film trasmessi e vari dibattiti con ex RSI) abbandonò la tesi della guerra civile, perché non si può parlare di guerra civile quando un esercito, quello della RSI, era in guerra non contro altri italiani ma contro gli angloamericani, i comunisti sovietici ed i loro utili idioti. I partigiani rappresentano un dettaglio insignificante, sia pure sanguinario. L’insurrezione del 25 aprile, tre giorni prima delle fine delle ostilità, non fa onore alle bande partigiane. Dalla mia zona partirono (non so tramite quale agenzia turistica) a marzo del 1945 per andare a Milano a festeggiare, altro che insurrezione. Del resto, Sordi aveva (nel film) telefonato al suo comandante: i tedeschi si sono alleati con gli americani… Ma gli occupanti erano e sono storicamente gli americani. Si chiamavano forze occupanti, si può leggere in tutti i loro comunicati in inglese.
Zippi. C’erano anche polacchi, marocchini, brasiliani, senegalesi ecc. In pratica la schiuma degli eserciti. Però, siamo onesti sino in fondo. Il governo della RSI era a sovranità limitata come il Regno del Sud. Il Re, comunque se ne pensi, e gran parte della classe dirigente fascista, non solo anti o prefascista, non optarono per la RSI. Che poi militarmente la Resistenza non abbia contato nulla lo sappiamo. Ma dal punto di vista ‘terroristico’ sì, ad opera soprattutto dei GAP comunisti. Che i partigiani (insieme composito di aristocratici fedeli al Re, qualche idealista, intellettuali, renitenti alla leva, teppa e rubagalline, opportunisti dell’ultima ora, non amassero la democrazia liberale anglosassone, ma piuttosto il marx-leninismo stalinista, pure lo sanno tutti coloro che con un minimo di onestà intellettuale si sono occupati non faziosamente di quel periodo. Ma rimanere agganciati al ‘carro nazista’ dopo Stalingrado, sbarco in Sicilia ecc. sarebbe stato un suicidio, dal punto di vista della più elementare Realpolitik… Saremmo stati occupati probabilmente dai titini…sai che allegria… Del resto Stalin pare fosse una figura molto apprezzata dalla base fascista della RSI, più di Hitler…
Ogni ipotesi è lecita, ma non serve. A me interessa ricordare che siamo stati occupati e parlare di liberazione a posteriori non è solo falso, ma è un crimine che grida vendetta. Io me ne vergogno, come italiano, ma non ho speranza che a breve qualcuno abbia il coraggio di dire “il re è nudo”. Quando un Mughini o un Carlo Rovelli (noto scienziato di sinistra) gelano le trasmissioni ricordando questa banalissima verità, nessuno ha il coraggio di replicare.
Invece con i capponi della destra infieriscono fino a che non ottengono l’abiura.
Don Abbondio è il loro santo protettore.
Offro un altra ottica
La destra al governo, un po’ convintamente un po’ costretta, sta portando avanti una politica di centro e/o liberale ( pensiamo all’economia)
La sinistra finita all’opposizione non può certamente criticare il governo, per esempio, per la preoccupazione della tenuta dei conti pubblici o per l’impegno atlantista
Rimangono argomenti di contrapposizione solo marginali ( per lo meno in questa congiuntura storica) come gender , diritti civili , giustizia o di cui non hanno nessuna soluzione plausibile come la immigrazione
E periodicamente rispunta la stucchevole diatriba sul 25 aprile senza nessuna volontà di arrivare all’unico risultato dignitoso: la pacificazione
Che passerebbe, anche, da una seria strategia del silenzio e di decantazione
Sembra , invece, che non rimanga altro che alzare la zampetta per marchiare il territorio che altrimenti è sempre più osmotico ed indifferenziato
Non fu liberazione, ma (quasi) la fine della guerra, nella quale eravamo entrati nel ’40, purtroppo, per colpa del Duce del Fascismo e del suo bluff. Io certo non celebro intimamente il 25 aprile, inizio di quella vendetta sanguinosa e cieca, di quel carnevale retorico di menzogne e furbizie, ma non possiamo, a destra, negare la evidenza che quell’armamentario antifascista glielo hanno in parte fornito i fascisti di Mussolini con i loro errori e colpe. Prima del 25 luglio e dopo l’8 settembre 1943. Credo che essere fascisti oggi è più o meno come essere bonapartisti. Lo stesso gli anti. Anacronistico. Io non credo più alla pacificazione degli italiani, ci credevo, un po’, a vent’anni, ma non oggi che ne ho 74. Il tempo ci penserà. Credo nella sobrietà. Non vivendo in Italia sono lieto di non vedere tricolori quel giorno.
Ascoltate cosa ha detto Cacciari a Metropolis (Repubblica) il 24.04 e fatelo sentire ai dirigenti di FDI, magari, forse, smetteranno di fare gli antifascisti succubi del pensiero unico e ricominceranno a parlare di storia, come hanno tentato di fare Pisanò e Pansa, troppo presto dimenticati. Ognuno ha la sua storia, inutile accodarsi al pensiero dominante e fare retorica servile: solo “retorica” dice Cacciari. Per favore ascoltatelo e godete del gelo dei giornalisti di Repubblica di fronte all’onestà intellettuale ddi un uomo di sinistra come Cacciari. Chi c’è di coraggioso ancora fra le nostre fila: Veneziani e Buttafuoco, forse…
Me ne vergogno anch’io come italiano e sono contrario a qualsiasi tipo di pacificazione o peggio ancora “giustificazione” del tradimento in nome della “realpolitik”.
La RSI dovrebbe essere la base sana su cui ricostruire idealmente l’Italia, che poggia invece su falsi miti e codardia.
Sono perfettamente in sintonia con Cesco, da sempre.Sono inoltre consapevole che senza soldi(tanti) e senza persone che sentono veramente il da farsi,uscendo dalle solite storielle accomodanti con cui nulla cambia..