Dai 65 anni in su, un regista viene assicurato per un suo nuovo film solo se un altro regista è già sotto contratto, pronto a sostituirlo all’occorrenza. Anche per questa ragione Nanni Moretti (1953) gira sempre meno: un film a quinquennio, lo dice lui stesso. Il suo ritorno sullo schermo avviene con Il sol dell’avvenire, che ha patito di questi e altri ostacoli (nella trama vi si allude).
Per l’ennesima volta nella storia del cinema, un regista stenta a girare il film cui tiene di più. Lo comincia, ma non riesce a finirlo. Attorno a lui, la moglie è diventata produttrice di un film altrui, opposto al suo come stile; la figlia ventenne si rivela, oltre che compositrice di musica, gerontofila a vocazione diplomatica (con l’ambasciatore polacco a Roma).
Sotto i colpi di un passato che quasi più nessuno condivide con lui, Giovanni si abbandona – su pressioni di attori invadenti – non ai rigori della coerenza, ma ai fantasmi trotzkisti di un eurocomunismo ante litteram, immaginato non nel 1976 sotto Berlinguer, ma nel 1956 sotto Togliatti, al momento dell’invasione dell’Ungheria.
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L’occasione per questo espediente è venuta nel 2022-23, con la crisi ucraina, su cui il film vuol dire indirettamente la sua contro la Russia, già madre del comunismo. Pessimo approccio. Allora perché recensire questo stanco incrociarsi di livello personali e livello politico? Perché Moretti è pur sempre Moretti e perché i momenti di solitudine peggiore, quella in compagnia, rendono sempre lucida e toccante la chiave autobiografico-nostalgica.
*Il sol dell’avvenire di e con Nanni Moretti, Margherita Buy, Silvio Orlando, Barbora Bobulova, 95′.
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Sarà ancor più noioso degli altri!
Davvero, mamma mia che palle Moretti !