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Nel commentare l’assenza di Giorgia Meloni alla cena parigina fra Macron, Scholz e Zelensky della scorsa settimana, la stampa italiana “benpensante” si è strappata le vesti di fronte a quello che ha definito “isolamento dell’Italia in Europa”.
La nostra Presidente del Consiglio, in effetti, non ha lesinato critiche all’incontro tripartito dell’Eliseo, organizzato in tutta fretta da Macron – evidentemente in preda a un attacco di “lesa grandeur” per il precedente ricevimento di Zelensky a Buckingham Palace e Downing Street -, definendolo “inopportuno” e “negativo per l’Europa”.
Dal canto suo il Presidente francese non ha risposto direttamente a Meloni, limitandosi a dichiarare che il suo Paese e la Germania hanno da tempo “un ruolo particolare” nella vicenda ucraina: affermazione, questa, chiaramente strumentale, in quanto il “formato Normandia” (Francia, Germania, Russia e Ucraina) cui evidentemente si riferiva diede sì vita, dopo la crisi del 2014, a quegli Accordi di Minsk che avrebbero dovuto favorire la pace, ma non riuscì a evitare che gli stessi venissero resi rapidamente carta straccia dalle parti in campo, nell’assoluta inattività dei pretesi mediatori. D’altra parte, dopo l’invasione dell’Ucraina, Parigi e Berlino non possono certo rivendicare un ruolo privilegiato nella soluzione della nuova gravissima crisi, in cui – non diversamente dagli altri partner europei – sono andati fin da subito al traino degli Stati Uniti e della Nato.
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Non solo: i predecessori di Macron e Scholz, Angela Merkel e François Hollande, iniziatori del “formato Normandia”, hanno ammesso in due recenti interviste che il processo di Minsk è servito, in fin dei conti, soltanto a “far guadagnare tempo” all’Ucraina in termini soprattutto di preparazione militare. Documentiamo di seguito questa affermazione:
- Intervista di Angela Merkel a “Die Zeit”, 7 dicembre 2022:
“…gli Accordi di Minsk del 2014 rappresentavano il tentativo di dare del tempo all’Ucraina. L’Ucraina ha sfruttato questo periodo per diventare più forte, come si vede oggi. Il Paese del 2014/15 non è quello di oggi. E dubito che la Nato avrebbe potuto fare molto per aiutare l’Ucraina, come fa oggi”.
- Intervista di François Hollande al “Corriere della Sera”, 15 febbraio 2023:
“…rivendico (gli accordi di Minsk). Era chiaro da subito che Putin non aveva intenzione di rispettare gli accordi e in particolare il ritorno all’integrità territoriale ucraina; tuttavia, quegli accordi hanno dato all’Ucraina una cosa fondamentale: il tempo. Sette anni che hanno permesso a Kiev di prepararsi e poi di resistere all’invasione”.
Un classico caso di eterogenesi dei fini, dunque, dato che gli Accordi di Minsk avrebbero dovuto principalmente garantire il cessate il fuoco nel Donbass e l’adozione da parte ucraina di una legge sullo status speciale degli oblast di Donetsk e Lugansk. Parrebbe dunque che Hollande e soprattutto Merkel, nelle rispettive interviste, abbiano cercato, col classico senno di poi, di respingere le critiche ricevute in patria per la loro scriteriata gestione del cosiddetto “processo di pace” nel Donbass. E’ sembrato un adeguamento postumo, il loro, all’odierno bellicismo atlantico: quale credibilità, dunque, possono avere i loro successori, rivendicando in proposito la loro fallimentare eredità?
E’ probabile che fra Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron manchi quella che si definisce “chimica personale”, in presenza invece di posizioni diversissime su varie questioni di cruciale importanza. D’altra parte la nostra premier, al di là del suo dichiarato filo-atlantismo, ha fatto finora poco di concreto a favore di Kiev – dove fra l’altro non si è ancora recata-, a parte il recentissimo decreto sul famoso sesto pacchetto di armamenti peraltro da tempo autorizzato dal Parlamento; tutto ciò, probabilmente, anche per le quantomeno incerte posizioni in materia degli alleati di governo (si pensi alle recenti esternazioni di Silvio Berlusconi).
Gli scarsi risultati ottenuti da Draghi
Non condividiamo però la contrapposizione, evidenziata dalla stampa italiana mainstream, fra i “passi falsi” meloniani e i pretesi successi del Governo Draghi riguardo all’Ucraina. Infatti Mario Draghi, al contrario di Macron e Scholz, nulla fece per scongiurare l’inizio della guerra, evitando prima del 24 febbraio di recarsi a Mosca dove – dato l’eccellente livello, a quei tempi, dei rapporti fra Italia e Federazione Russa – avrebbe forse invece potuto provare ad esercitare i suoi buoni uffici. Per non parlare dei risultati del tutto nulli del viaggio a Kiev dello scorso giugno, quando i tre cosiddetti “grandi d’Europa” non furono minimamente in grado di esercitare un’autonoma azione di mediazione.
Draghi, nell’occasione, aveva sfruttato i suoi indubbi contatti personali per costruire, con un abile gioco di specchi, la narrazione di un’Italia parte di un “direttorio” europeo al più alto livello, restando di fatto comodamente accucciato sotto le ali dell’aquila americana (l’unica, certo, a poter risolvere la situazione).
Il presunto “isolamento” della Meloni
Per questo sembra oggi quantomeno ingeneroso considerare Giorgia Meloni “isolata” sullo scenario internazionale. E’ vero, la nostra premier ha un carattere non sempre conciliante e si trova a dover fare esperienza sul terreno, alle prese con interlocutori difficili e, soprattutto, alla testa di un Paese come il nostro che, per evidenti ragioni geopolitiche, non può e mai potrà “giocare da solo”. Ma è certo che, nonostante la cena dell’altra sera con Zelensky, neppure la Francia possiede strumenti autonomi utili a risolvere la grave situazione ucraina e, se ritiene di averne, è a causa della sua ormai ingiustificata autopercezione come potenza di prima grandezza. Peggio ancora la Germania del triste Scholz che, dopo i decenni d’oro (nero) di Schroeder e Merkel, si è vista sottrarre senza colpo ferire le forniture energetiche a basso costo cui si era ormai abituata, fino a lasciarsi distruggere sotto il naso, e da mano molto probabilmente “amica”, un’infrastruttura cruciale per i suoi interessi nazionali come il gasdotto Nordstream.
Certo, l’Italia non può considerarsi allo stesso livello di Francia e Germania sulla scena geopolitica mondiale. Ma la gravissima crisi ucraina, con l’intera Europa schiacciata sulle posizioni anglo-americane, potrebbe paradossalmente servirle per aumentare il suo peso relativo rispetto a due partner palesemente in crisi: sempre che la nostra premier rinunci alla vittimistica retorica dell’“underdog” e, dando prova di creatività e del coraggio che non pare mancarle, inizi a elaborare qualche proposta di pace, o almeno di tregua, che possa contribuire a frenare l’escalation del conflitto in corso.
ottima analisi,oggettiva perchè sono fatti,non ideologia. Bravo
D’accordo con Massimo.
Verissimo. La Francia conta quasi come la Germania in campo internazionale. Cioè, tendenzialmente zero.
Ottima analisi
Relativamente all’auspicio formulato nella parte finale dell’articolo, ossia che Giorgia Meloni
“inizi a elaborare qualche proposta di pace, o almeno di tregua, che possa contribuire a frenare
l’escalation del conflitto in corso” mi pare che la nostra PdC, nelle sue dichiarazioni di Kiev,
sia stata di avviso contrario, e molto chiaramente:
«L’Italia darà ogni possibile assistenza perché si creino le condizioni di un negoziato,
ma FINO AD ALLORA darà ogni genere di supporto MILITARE, finanziario, civile.
Chi sostiene ANCHE militarmente l’Ucraina è chi lavora per la pace».