In Occidente a strepitare sono stati in tanti, soprattutto i “soliti noti” degli ambienti gauche-caviar, del mondo dello spettacolo, dei circoli liberal di vari colori (viola, arancioni…), del giornalismo e culturame prog in servizio permanente effettivo. Più vecchie star in naftalina come Paul McCartney, Peter Gabriel, Madonna, Yoko Ono e da noi il compulsivo Vasco Rossi, che a sessant’anni ha scoperto Facebook e ormai pontifica quotidianamente sull’universo mondo. Era arrivata anche la scomunica di Sting, ma il biondo ex Police è stato immediatamente sputtanato via Twitter quando si è saputo che nei giorni scorsi si è esibito, dietro ricco cachet, alla festa di compleanno della sorella di Putin in Costa Smeralda. Pecunia non olet.
In Russia, invece, dopo la sentenza che ha condannato a due anni di galera le tre componenti del gruppo punk Pussy Riot, non c’è stata poi una gran rivoluzione. Cinquecento persone in piazza a Mosca, tra cui l’immarcescibile Garri Kasparov, che da quando non gioca più a scacchi invece che ai giardinetti, come ogni pensionato che si rispetti, passa il tempo a contestare Putin. E basta. Anzi, secondo i sondaggi della vigilia circa la metà degli intervistati si augurava per le tre ragazzotte il massimo della pena (7 anni); e su alcuni siti circola la notizia di una grande manifestazione anti-Pussy Riot di 100 mila persone, oscurata però dai mass-media occidentali. Siccome in effetti non c’è traccia sui siti internet considerati “attendibili”, facciamo finta che non sia vero.
Però in giro per la rete si raccolgono alcune notizie interessanti, che passata l’onda emozionale della condanna la dicono lunga sul fenomeno delle tre “eroiche” contestatrici del despota Putin. Intanto si legge che il nome del gruppo diventerà un marchio, come ha annunciato Mark Feigin, avvocato delle tre musiciste in carcere. Il legale ha precisato che l’iter di registrazione del marchio è stato avviato lo scorso aprile per evitare l’uso del nome del gruppo in varie azioni e progetti.
«Il merchandising delle Pussy – informa il Corriere della Sera – però è già iniziato. Sono numerose le iniziative che su internet vendono t-shirt di ogni fattezza e colore con la scritta “Pussy Riot libere” e le tre ragazze incappucciate con gli inconfondibili passamontagna colorati».
Alla più carina delle tre, Nadezhda Tolokonnikova, è già arrivata l’interessante offerta di Playboy, che da sedicente rivoluzionaria vorrebbe trasformarla in coniglietta. Vedremo se accetterà, però l’interesse del più noto giornale mondiale di bellezza femminile fa ben capire come viene percepito lo spessore di questo gruppo di protesta anti-Putin e anti-Chiesa ortodossa: un logo da sfruttare al più presto, prima che il mondo si dimentichi di loro. Insomma, da Pussy Riot pare si stia passando a Pu$$y Riot, come del resto insinuano da alcune settimane i loro detrattori affermando che il gruppo punk russo è finanziato da Otpor, l’organizzazione messa in piedi dal finanziere e speculatore internazionale George Soros per “esportare” la democrazia nei Paesi dell’Europa dell’Est e del Medio Oriente. Lo stesso che in passato ha “oliato” la cosiddetta Rivoluzione Arancione in Ucraina, le femministe radicali del gruppo Femen (sempre ucraine), la Rivoluzione delle Rose georgiana e le rivolte studentesche in Tunisia ed Egitto.
Il dubbio che le “fighette in rivolta” (Pussy Riot si può tradurre più o meno così) non siano delle eroiche rivoluzionarie pure di cuore ora si va facendo strada anche in alcune teste pensanti della sinistra, quelle che non si rassegnano al riflesso pavloviano per cui a qualsiasi strillo mediatico in difesa di presunti diritti umani violati bisogna correre alla mobilitazione. Ne incroci qualcuno che vaga su Facebook, isolato dai suo stessi compagni che di solito non amano le avanguardie e chi si pone troppe domande. E nei giorni scorsi è apparsa un’analisi molto interessante su www.militant-blog.org, un sito – tanto per essere chiari – che si definisce organo di un “collettivo politico comunista, formato da compagni dei movimenti antagonisti romani”. E che sulla vicenda Pussy Riot ha sviluppato un ragionamento altamente condivisibile dal titolo «Le insegne luminose attirano gli allocchi», di cui riportiamo uno stralcio qui di seguito:
La politica imperialista statunitense ha come obiettivo primario la normalizzazione del Medio oriente. Da più di un anno è attiva su tutti i fronti (culturale-ideologico, mediatico, politico, militare) per ridurre la resistenza dei paesi mediorientali non allineati alla volontà imperialista. In questo complesso gioco di posizione, la Russia è il principale problema geopolitico occidentale, perché è il fondamentale punto di riferimento di alcuni paesi mediorientali (Siria, Iran) che ancora resistono al più o meno violento processo di asservimento. La Russia, tramite il veto ONU, tramite il finanziamento diretto e indiretto di questi stati, tramite i suoi accordi politici con la Cina, dev’essere riequilibrata, e Putin non sembra accettare questo ridimensionamento (per sue ragioni geopolitiche, non certo per una qualche coscienza di classe in favore dei popoli oppressi). L’obiettivo, dunque, è creare un vasto consenso attorno ad un eventuale cambio di regime in Russia. Cambiamento che non può evidentemente avvenire manu militari, ma che può essere promosso dall’interno, sfruttando i mille legami che gli oligarchi russi hanno con l’occidente. La creazione artificiosa di questi episodi fa parte di questo progetto. I primi a cascarci, come sempre, i diritto-umanisti della folcloristica sinistra europea, sempre pronta a mobilitarsi per qualche presunto diritto umano violato (quei diritti umani che emergono dalle pagine di Repubblica, nel nostro caso). In degna compagnia di attori e cantanti multimiliardari, orchestrati e manovrati dallo sponsor di turno. Uno schema già visto. Evitiamo di citarvi tutte le volte che in questi ultimi due anni si è riproposto (gli ultimi due anni, non gli ultimi venti..).
Apriti cielo! Sul sito sono fioccate le accuse di essere “servi di Putin”, “maschilisti”, “fallocentrici”, “misogini”. Tanto da costringere il collettivo a una successiva precisazione, che volendo si può leggere sul sito.
Intanto, com’era prevedibile visto che la madre degli idioti è sempre incinta, le Pu$$y Riot hanno fatto scuola, trovando degli emuli anche in Germania: domenica scorsa una donna e due uomini, travestiti da membri della punk band russa, hanno fatto irruzione nella cattedrale di Colonia inneggiando alla libertà per le tre componenti della band. Nel video diffuso dall’agenzia di Mosca Rt si vedono i manifestanti mentre vengono trascinati via dalla chiesa. I tre, di 20, 23 e 35 anni, sono stati accusati di aver disturbato una cerimonia religiosa e potrebbero rischiare fino a tre anni di prigione. Tre anni? Se dovesse davvero succedere che cosa dirà fraulein Merkel, che nei giorni scorsi aveva criticato la pena eccessiva inflitta alle “fighette in rivolta” dal Tribunale moscovita?