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L’indigesto polpettone anglo italiano de I Medici targato Netflix non rende onore alla nostra autentica storia patria, a parte le inquadrature urbane e gli splendidi abiti. Ci sarebbero voluti registi meno abborracciati. Gli attori de I Medici non sapevano cosa e chi stavano interpretando, salvo un Dustin Hoffman, che va sempre bene.
Ricordo la vera commozione di Philippe Leroy per essere riuscito a interpretare Leonardo Da Vinci in uno sceneggiato Rai tv (‘71) di Renato Castellani, diventato poi una pietra miliare. Salvatore Nocita e i suoi Promessi Sposi ti dicono qualcosa? Nella sua prima messa in onda (‘89) tocca i 14 milioni di spettatori. Per non parlare dello sceneggiato tv Ulisse di Franco Rossi, con Irene Papas e Bekim Fehmiu. “Several critics consider the series to be a masterful representation of the ancient world.” Ma davvero? Ci sarebbero anche le serie di Maigret con Gino Cervi e Nero Wolfe con Tino Buazzelli, ma bando alla nostalgia, questo era solo per farti notare che i trionfi non sono appannaggio esclusivo delle produzioni straniere. BBC ha riscattato la penosa serie de I Medici di Netflix, punto a capo. Lo ha fatto con Peaky Blinders, ora successo planetario. Per la cronaca reale: Dicesi Peaky Blinders la banda di delinquenti di Birmingham di fine ’800 e primo ‘900, giovani di estrazione medio-bassa dediti a rapine, racket, scommesse illegale e controllo del gioco d’azzardo. Eliminarono i rivali Cheapside Sloggers, per controllare Birmingham e dintorni. Nel 1910, i Birmingham Boys capeggiati da Billy Kimber, iniziarono la conquista della città, surclassando i Blinders e dopo dieci anni li sloggiarono; il termine Peaky Blinders divenne sinonimo di generica banda di strada a Birmingham.
I giovani gangsters sono i protagonisti dell’omonima serie tv della BBC iniziata nel 2013 e distribuita da Netflix.
La vicenda è ambientata nel quartiere di Small Heath e ruota attorno alla famiglia Shelby, il cui secondogenito Thomas, reduce decorato della prima guerra mondiale, è anche il boss della gang detta Peaky Blinders, dall’usanza di nascondere lamette nel risvolto dei cappelli, in modo da usarli anche come arma. In senso stretto il termine riguarda la forma affusolata e a punta della visiera. BBC definisce la storia come “An epic gangster drama set in the lawless streets of 1920’s Birmingham.”
Scrive SerialFreaks.it: “…Se i cattivi vi affascinano più dei buoni, se per voi il rispetto vale più di tutto, e la vendetta è un piatto da servire caldo, non potete perdere Peaky Blinders…”
Margherita Fratantonio su Taxidrivers.it: “…Amori devoti e infedeli, sanguinosi regolamenti di conti, antagonismi feroci, a volte sospesi se prima si devono concludere affari convenienti. Non certo quello con gli italiani, capeggiati dallo spietato Luca Changretta (Adrien Brody), deciso a sterminare tutti gli Shelby…Una fotografia per lo più cupa sottolinea l’ambientazione: l’interno del pub che è il loro quartier generale, il porto dei traffici illeciti, le fonderie Small Heath di loro proprietà, utili a far scomparire i cadaveri. Lì The fuckin’ Shelby si muovono sicuri, insieme…una squadra temuta, con i loro berretti e i costosi cappotti aperti a rendere le andature più spavalde…
Della colonna sonora scrive Federica Carlino su Coming soon: “Take a little walk to the edge of town…”: tutti i fans della serie provano un brivido di piacere ogni volta che sentono queste parole. Per chi non lo sapesse, la sigla si intitola “Red Right Hand” e non è stata scritta appositamente per la serie. È traccia dell’album “Let Love In” di Nick Cave & The Bad Seeds, uscito nel 1994, più di 25 anni fa. Mentre Alessandro Lella su Mad for series.it: (…) Difficilmente riusciremmo a trovare dei difetti in Peaky Blinders che…riesce a proporci anche degli interessanti risvolti politici, quando vengono analizzati più da vicino i rapporti tra la politica e le famiglie mafiose. Insomma, i motivi per vedere questa serie tv sono veramente tanti: dai dettagli curati con estrema attenzione, alle situazioni emotive che non mancano mai di stupirci in positivo, dalla crescita individuale e l’umanità dei personaggi alla perfetta ricostruzione dei luoghi del tempo.
Federica De Masi su Cinematographe.it: Quando una serie tv riuscita e amatissima dal pubblico volge al termine è inevitabile essere assaliti dal magone e anche dalla paura che la chiusura di un ciclo possa rovinare il capolavoro realizzato fino a quel momento, con forzature e decisioni che snaturino i personaggi. In Peaky Blinders 6 il dramma personale ha maggior spazio, al pari di quello familiare e storico, ma anche la linea thriller si accende adagio, con l’organizzazione di un ultimo grandissimo colpo che prevede il trasporto di un ingente quantitativo di oppio dal Canada. Tutto questo ci terrà col fiato sospeso! Peaky Blinders 6 è visivamente spettacolare…Lungo le circa 7 ore di show si sente ticchettare la carica della suspense fino ad un grande epilogo. I livelli di questa serie infatti sono molteplici e la maestria degli autori nell’averli sviluppati tutti in modo limpido è il punto forza…Una regia di pregio rimane il marchio di fabbrica dello show: movimenti di macchina a tutto spiano, giochi di luce che caratterizzano momenti onirici e la contrapposizione tra bene e male, un tocco di stile moderno tra rallenty e accelerazioni e il gioco è fatto! Lo stile di Peaky Blinders è poi arricchito dalle eccellenti ricostruzioni d’epoca e dalla colonna sonora perfetta: da Disorder dei Joy Divison, a Nessun dorma della Turandot, fino a 5:17 di Tom Yorke.
Di fronte a questo peana di consensi devo arrendermi; però, Il Mulino del Po (‘63), miniserie tv Rai di Sandro Bolchi con Raf Vallone, Gastone Moschin, Tino Carraro e Ave Ninchi, fu un clamoroso successo!
Ti chiederai ma è così bravo Cillian Murphy nei panni di Thomas Shelby? Fotogenico ed espressivo di sicuro, anche se Marlon Brando nel Giulio Cesare di Mankiewicz e Orson Welles in Otello sono tutt’altra cosa.