Prendete un Pirandello qualsiasi (si fa per dire), un paio di suoi personaggi fra i meglio riusciti e calateli in un’atmosfera paradossale e grottesca; aggiungeteci un pizzico di surrealismo (quanto basta) ed una spruzzatina di assurdo (non di più); lasciate cucinare (lo spettatore) per un paio d’ore a fuoco lento, rigirando solo qualche volta. Avrete così un piatto di prim’ordine, degno delle ‘tavole’ del palcoscenico d’autore, da servire ancora caldo nella cinematografia d’eccellenza internazionale.
È questa la ricetta per un film strepitoso, ‘La stranezza’ di Roberto Andò, che si avvale di attori tutti più che bravi, dal protagonista Toni Servillo ai coprotagonisti Ficarra e Picone fino alla più umile comparsa; ed utilizza una superba fotografia per una scenografia minuziosamente calligrafica. Il titolo, volutamente ambiguo nel suo significato italiano di “cosa strana, anomala” e in quello tutto siciliano di “turbamento, confusione interiore”, è chiaramente allusivo della solitudine intellettuale di un siciliano “strano” come Pirandello, tornato nell’Isola per omaggiare Giovanni Verga e coinvolto in un’infima recita paesana, che abortisce in un dramma passionale dai risvolti tragicomici. Nel film emergono dai dialoghi, recitati in gran parte nel più musicale dei dialetti del Mediterraneo, tutte le caratteristiche di quella ‘sicilitudine’ concepita da Tomasi di Lampedusa, elaborata da Brancati e codificata da Sciascia: la passione latente, la gelosia fremente, la rivalità nascosta, la mascolinità caliente, la femminilità repressa, la diffidenza atavica, la vitalità chiassosa, l’umorismo sornione. Che sono, poi, a ben vedere, quelle del ‘pirandellismo spinto’, dal sapore agrodolce dell’umorismo caustico e volterriano, con cui corrodere le fibre della natura umana per renderle fili del burattino, che è in ognuno di noi, ma inquadrato in una luminosa solitudine, nella scena finale del film. Al quale, però, non è dato di conoscere il suo burattinaio.
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La sapiente regia di Andò, cui spetta non il solito premio nazionale ma un riconoscimento internazionale, trasforma gli uomini in maschere (anche grazie al trucco pesante da palcoscenico anni Venti) e riesce a disegnare un’originalissima genesi de “I sei personaggi in cerca d’autore”, il più particolare, cioè il più ‘strano’, dei drammi pirandelliani. Ma di quella ‘stranezza’ che, analizzata con perizia autoptica dal Bufalino di ‘Diceria dell’untore’ e melodiosamente cantata da Battiato nel suo ‘Stranizza d’amuri’ (1979) come omaggio all’essenza più autentica della sua Terra, sublima la concezione cinica, tutta siciliana, della vita in una tragica dimensione, universale, dell’esistenza.