La nebbia avvolgeva piano piano i tetti, le stradine, le auto parcheggiate e gli alberi del piccolo complesso residenziale che sorgeva alla periferia della città. E rendeva tutto più scialbo. Anche la luce gialla dei lampioni sembrava arrestarsi a pochi metri e quasi indietreggiare. Impalpabile e implacabile. Quanto sarebbe durata?
Luca riandava con la mente ad una deliziosa poesia di un poeta americano, Carl Sandburg, che paragonava la nebbia ad un gatto che si accuccia in città e nel porto silenziosamente, per poi andare via. Ma quella nebbia così inconsueta per una città marinara del sud in quei giorni d’ottobre, si posava anche sul suo cuore e chissà per quanto tempo sarebbe rimasta. Nascondeva forse cose lontane, forse i sogni, ma non gli affanni quotidiani.
“È davvero strano per la nostra città”, aveva scritto in uno dei messaggi che si scambiava tutt’i giorni con Elisa. Avevano preso ormai questa abitudine da due anni. Si scambiavano facezie, vignette, brevi commenti sugli avvenimenti del giorno e video musicali. Ridevano di cuore l’uno alle battute dell’altra e viceversa.
“Quand’ero a Milano i giorni con la nebbia erano la regola, era davvero triste… non si vedeva ad un palmo…”, aveva risposto lei.
“E come facevate ad incontravi, tu e tuo marito?“, le aveva scritto Luca. Il simbolo grafico d’una risata a crepapelle era stata la replica di Elisa.
Già, Elisa! Quanto tempo era passato dal loro primo incontro, ai tempi dell’università! Luca era già laureato in legge da qualche anno e lavorava presso la redazione di un giornale locale ricevendo magri rimborsi. Fare il giornalista era il suo sogno. Elisa invece si era appena laureata in lettere, non vedeva l’ora di insegnare in un liceo ed essere chiamata professoressa. C’era un gruppo di persone che protestava, non ricordava più per cosa. Si era fermato ed aveva scorto tra loro Elisa. Elegante nel suo tailleur marroncino chiaro, capelli d’un biondo mielato a caschetto, occhi verdi, formosa. “Sei qui per protestare?”, aveva attaccato lui. “Sono un giornalista e devo scrivere un pezzo per il mio giornale”.
Avevano chiacchierato a lungo e si erano scambiati i numeri di telefono. Luca aveva cominciato a corteggiare Elisa, che lo stimava e gli voleva bene, ma non riusciva ad accenderle il cuore. Una sera le aveva perfino strappato un bacio lì sulla muraglia di fronte al mare che rumoreggiava sotto il maestrale. Quell’amore che non sbocciava, più tardi, Luca lo paragonò a due carovane che s’incrociano nel deserto senza sostare, si scambiano saluti di giubilo, frizzi e lazzi, e proseguono ciascuna verso la propria misteriosa destinazione. Dopo alcuni mesi le loro strade si erano divise e non si erano più rivisti. Fino a due anni addietro.
Luca aveva appena accompagnato la figliola sedicenne a lezione di piano al conservatorio e guardava nervosamente l’orologio, pensando che tra poco avrebbe dovuto lasciarla dalla madre, da cui si era separato da lungo tempo. Passeggiava lentamente in quel giardino non troppo curato, quasi fiabesco, pieno d’ombre che disegnavano strane figure, dove le palme e le siepi sembravano abbracciarsi con i pini e i lecci e dove rade luci accrescevano la sensazione di trovarsi lontano dalla città e dai suoi rumori. Le note in sottofondo del piano si mescolavano a tratti ai suoni del violino e ai gorgheggi del canto.
“Ma tu non sei…”.
“Sì, sono Elisa, mi hai riconosciuta?”.
“Quanti anni! Forse venti…”.
“Venticinque”.
“Ed ora insegni musica?”.
Una franca risata accolse la domanda di Luca.
“No, ho accompagnato mio figlio, si sta diplomando in violino”.
In breve si erano raccontati le vicende salienti della loro vita ed avevano allacciato una splendida amicizia.
Erano nel frattempo passati due anni e Luca stava attraversando un brutto momento. Dopo dodici anni di matrimonio e d’amore passionale la moglie l’aveva improvvisamente lasciato senza un motivo plausibile. Almeno così gli pareva. C’erano stati il confinamento e le pesanti restrizioni a causa della pandemia, che avevano ristretto inesorabilmente gli spazi e la possibilità di relazionarsi con gli altri, e Luca aveva notato nella moglie un marcato cambio d’umore, un progressivo allontanamento, che non riusciva a spiegarsi.
Quello che a denti stretti, dietro sua insistenza, gli aveva detto una sera, quel “non t’amo più”, l’aveva profondamente addolorato e avvilito. Era stato davvero il classico fulmine a ciel sereno. Le liti, le reciproche accuse, le parole di troppo da una parte e dall’altra avevano finito per deteriorare definitivamente il loro rapporto.
Gli aveva pure rinfacciato di dedicare più tempo alla figlia che a lei e che per colpa sua non avevano pensato a fare un figlio loro. Ma a Luca pareva di non averle tolto affettivamente nulla, cercava semplicemente di essere un buon padre. Erano due affetti egualmente importanti nella sua vita, ma vissuti su piani distinti. Quanto al figlio che non era venuto, si era semplicemente affidato al destino, deplorando per proprie convinzioni l’uso di sistemi artificiali.
Certo, era inutile opporre ragioni ai moti del cuore. Non gli restava che confidare che si trattasse di una crisi passeggera, che dal cuore della moglie zampillasse di nuovo l’amore che li aveva uniti. Ma non c’era stato nulla da fare. Lei se n’era andata di casa. E Luca era piombato nella solitudine.
“So che non meriti questo disamore”, aveva cercato di consolarlo Elisa. “Vedrai, troverai un’altra Laura dalle belle membra che ti scalderà il cuore”. “Non sarà vero, ma ci credo”, aveva risposto per celia Luca.
Da qualche mese però toccava a Luca consolare Elisa. Le avevano diagnosticato un tumore e doveva sottoporsi a sfibranti analisi. Malgrado il suo temperamento allegro e fiducioso, Elisa attraversava momenti di profondo sconforto. I suoi messaggi a volte erano cupi e rasentavano la più nera disperazione. Luca s’industriava a trovare le parole giuste. “Bisogna combattere… non alzare bandiera bianca… non me l’hai insegnato tu?”, le diceva. “La vita è un continuo riconquistarsi”, filosofeggiava. E quando le parole scarseggiavano le mandava il simbolo grafico dell’abbraccio.
“Chissà che sarà di noi
Lo scopriremo solo vivendo”.
Trasmettevano in quel momento alla radio la splendida canzone di Battisti e quel ritornello Luca lo ripeteva quasi meccanicamente con un filo di voce. La nebbia era d’un tratto sparita e dal terrazzo si vedeva in lontananza il lungomare con le sue luci. Assomigliava ad una enorme zattera che solcava il buio della notte col suo carico di sofferenze, di piccole gioie e di destini.