Prima ancora degli orientamenti programmatici, oggetto del confronto parlamentare, il Governo Meloni ha rimarcato, con un nuovo lessico ministeriale, la sua volontà di declinare certe idee di fondo con la più stringente prassi governativa. Ecco allora una serie di “messaggi” in grado di dare una scossa allo stantio linguaggio burocratico. Parole chiare, dirette, che vanno ad affiancarsi ai nomi tradizionali di alcuni ministeri: Sviluppo economico che diventa Ministero delle Imprese e del made in Italy; Politiche agricole è rinominato Agricoltura e sovranità alimentare; Istruzione assume la denominazione di Ministero dell’Istruzione e del merito; Famiglia si trasforma in Ministero della famiglia e della natalità.
Con queste indicazioni la compagine governativa traccia alcune linee programmatiche che vanno evidentemente ben oltre i meri confini delle indicazioni ministeriali, diventando vere e proprie affermazioni di principio, idee guida rispetto alle quali informare una politica.
Qualcuno, a sinistra, ha ovviamente storto il naso, adducendo giustificazioni ridicole. Abbiamo ascoltato stralunati commentatori interrogarsi sul significato della parola “natalità”. Altri – di fronte alla “sovranità alimentare” – ipotizzare improbabili embarghi. Sul “merito” c’è chi ha giocato facile (e un po’ sporco) paventando discriminazioni nei confronti di chi non ha i mezzi per farcela.
In realtà, dietro le parole guida del nuovo Governo, è la stringente logica dei numeri ed un’autentica visione sociale ad incalzare le idealità politiche.
Di fronte all’avanzare dell’inverno demografico (con una popolazione italiana in continua decrescita, che da 59,2 milioni al 1° gennaio 2021, arriverà – con le tendenze attuali – a scendere sotto quota 50 milioni nel 2070) portare al centro dell’attenzione nazionale il tema della “natalità” significa iniziare ad immaginare ed attivare finalmente qualche rimedio in grado di invertire questa devastante tendenza.
Parlare di “merito” vuole dire rimettere in moto il cosiddetto “ascensore sociale”, l’unica strada capace di garantire a ciascuno l’ opportunità di sviluppare il proprio potenziale, a prescindere dalla provenienza socio-economica. Lo scrive peraltro la Costituzione italiana, che – all’articolo 34 – afferma testualmente: “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Compito della Repubblica rendere effettivo questo diritto.
Dire “sovranità alimentare” (e quindi anche di “made in Italy) significa fare i conti – dati Coldiretti – con una falsificazione dei nostri prodotti alimentari superiore a cento miliardi di Euro, con gravissime ricadute sul nostro sistema produttivo. Ed allora tutela e promozione delle nostre tipicità, ma non solo, laddove occorre fare ordine nel complesso campo dei brevetti e delle invadenze multinazionali. Ad averlo detto non è qualche inguaribile “reazionario”, ma il fondatore di Slow Food, Carlo Petrini: “C’è il progressivo abbandono della sovranità alimentare, una scelta compiuta e sostenuta da tutti i Paesi del primo mondo, nel corso della cosiddetta Rivoluzione Verde: pur di ottenere raccolti abbondanti, abbiamo consegnato le chiavi dell’alimentazione ai colossi della chimica, che oggi smerciano i semi più diffusi al mondo e al contempo producono i pesticidi. Ma i prezzi di quelle licenze non si potevano reggere, e così si è semplicemente smesso di coltivare”.
Su queste basi, molto concrete, ma ugualmente suggestive, i grandi temi identitari si intersecano dunque con le tante emergenze nazionali, accumulatesi nel corso dei decenni, diventando fattori mobilitanti ed insieme impegni programmatici, richiami collettivi ed invito all’azione di governo.
L’uso di certi termini dà fastidio ai benpensanti del politicamene corretto ? Una ragione in più per continuare su questa strada, accendendo aspettative e lanciando idee guida (a quando il Ministero del Lavoro e della Partecipazione ?). Anche qui, nella “guerra delle parole” si gioca la partita del cambiamento. Se questo è l’inizio c’è da ben sperare.
Nel condividere e apprezzare il nuovo lessico per designare i Ministeri, devo tuttavia osservare che la locuzione “made in Italy” assunta dall’ex MISE (Ministero dello sviluppo economico), è un anglicismo, benché consolidato, e mi chiedo se non sia il caso di sostituirlo per esempio con “Ministero delle Imprese e delle Eccellenze italiane”? o “Ministero delle Imprese e dei Prodotti italiani”. o del “Marchio Italia”. Non è una questione di purismo, ma la constatazione che la locuzione inglese nel nome ufficiale di un ministero della Repubblica italiana, suona stonata, soprattutto in un governo guidato dalla Destra. La difesa dell’identità comincia infatti dalla difesa della lingua italiana!
Sulla natalità è bene fare i conti con un dato che tutti gli specialisti del settore possono confermare e cioè l’abbassamento generale della fertilità, per via del quale fare figli è effettivamente difficile, al di là delle difficoltà economiche, dello scarso supporto da parte statale, ecc ecc. Bisogna invertire prima di tutto questa tendenza, lavorando su due direttrici, una politica, per combattere i paladini della riduzione della popolazione mondiale (che guarda caso hanno promosso la vaccinazione di massa anti covid), l’altra puramente scientifica, volta alla studio e rimozione di tutte le cause che nei decenni hanno condotto a questa terribile situazione.
Sono d’accordo, basta anglicismi. Occorrerebbe anche aprire un dibattito sulle regole del made in Italy, poiché non prevedono una filiera di produzione al 100 % italiana.
La bassa natalità non mi pare una priorità di governo, anche perchè non è una questione di sussidi o incentivi, ma un fatto di costume e culturale, che viene da lontano. Il mio caso particolare ? Mio nonno paterno aveva nove fratelli, mio padre quattro, io figlio unico…Come tanti amici nati dopo la WWII…Ho adesso due nipotine…Se ai figli vuoi dare vere opportunità nella vita, essi devono essere pochi… Del resto siamo in piena bomba demografica a nivello mondiale, fonte di grandi mali…spero non ci metteremo a competere con la Nigeria o il Brasile…
Fra il 1870 ed il 1914 circa 20 milioni di italiani dovettero emigrare, perchè eravamo in troppi. La popolazione ideale d’Italia è, credo, di 45 milioni o giù di lì. Certo, adesso bisogna rimettere gli italiani al lavoro, giacchè le statistiche ci dicono che quasi la metà dei trentenni non studia e non lavora. Altro che RdC, solo utile ai poltronacci demagoghi della politica…
Francesco. Quando sono nato nel 1949 la popolazione mondiale era di 1,9 miliardi. Ora di 8 miliardi, previsti 10 circa ai 100 anni dalla mia nascita. Ben vengano tutte le misure per contenere il flagello demografico.
Con la peste nera di 8 secoli fa morì quasi la metà degli europei del tempo. I sopravvissuti e discendenti vissero poi meglio, pare. Nessuna politica ambientale, nessun vero ecologismo è ora compatibile con la sovrappopolazione del pianeta. Fino alla Prima Guerra Mondiale l’Europa aveva lo sfogo dell’emigrazione in regioni del mondo sottopopolate. Oggi siamo invasi dal Lumpen terzomondista alla ricerca di briciole residuali di Welfare…
Made in Italy è un anglicismo di carattere mondiale e non ne farei una questione di principio. Magari il Made in Italy volasse come un tempo. A Torino, mia città, 50 anni fa si producevano circa 5 mila auto al giorno. Oggi poco più di 300, essenzialmente Fiat 500 eletriche, che non so bene a chi diavolo si vendano, giacchè l’auto elettrica è una solenne presa per i fondelli, praticamente inusabile…
Per ora condivido tutto quello fatto e detto dal governo. Concordo anch’io nel contrastare gli anglicismi, ma per “made in Italy” faccio un’eccezione perché ormai è una locuzione conosciuta così in tutto il mondo, d’altronde “made in Italy” fa parte di un nome (italiano) più ampio, relativo appunto al ministero. Purtroppo le locuzioni italiane equivalenti risulterebbero pesanti, farraginose (e non sarebbero riconosciute, oltre ad essere meno orecchiabili). Sulla natalità sostanzialmente ho le idee di Guidobono.
Il dato mondiale che tu citi Guidobono è incontrovertibile, ma dato che non siamo tra le nazioni responsabili della sovrappopolazione mondiale, le misure per contenerla dovrebbero essere applicate altrove, non certo da noi. Lavorassero allora sulla popolazione africana, da noi un’inversione di tendenza è necessaria, tanto non torneremo di certo alla figliate dei tempi che furono.
Sì, sono gli africani che figliano troppo. (In ogni caso va evitata l’africanizzazione dell’Europa).
È utopico pensare che gli europei possano contrastare la bomba demografica in Africa. Con questa politica di porte aperte. Non ci son manco neppure riusciti i cinesi a casa loro…
Andiamo, noi molli europei ‘tuttodiritti’ ad evirare milioni di africani?