Ho aspettato un po’ di tempo prima di esprimere un giudizio sui ministri scelti da Giorgia Meloni per il nuovo governo, e ancora non so se faccio bene a manifestarlo. Ho conosciuto di persona alcuni di loro, degli altri seguo da anni le evoluzioni politiche, ma resto dell’avviso che un’opinione serena su una persona incaricata di un pubblico ufficio si possa esprimere solo dinanzi alla prova dei fatti.
Nell’insieme, però, ho ricevuto l’impressione di scelte che, per quanto in parte obbligate dagli equilibri di partito, siano state equilibrate e in certi casi molto felici. La migliore mi pare sia stata quella di Nordio alla Giustizia. Nominare guardasigilli un avvocato, come era avvenuto in passato, mi è sempre parsa una scelta imprudente. Un po’ perché un legale rappresenta istituzionalmente interessi di parte e comunque potrebbe nutrire nei confronti dei magistrati uno spirito di rivalsa; o, anche se non lo nutrisse, potrebbe lasciare immaginare che certe sue decisioni siano dettate da questo stato d’animo. Ma anche nominare guardasigilli un giudice in servizio potrebbe lasciare adito a illazioni e sospetti, esponendolo quanto meno all’accusa di non voler toccare i privilegi della sua categoria. Scegliere come ministro della Giustizia un magistrato in pensione preserva da entrambi i sospetti, oltre ad assicurare al dicastero il contributo di un uomo di provata esperienza. A tutto questo occorre aggiungere che Nordio nell’opera svolta in Magistratura ha avuto tra l’altro il merito di essere stato uno dei pochi pm a indagare sulle Coop rosse, con un’inchiesta in cui per altro non riuscì a dimostrare il coinvolgimento dei vertici dell’ex Pci in uno scandalo che comunque condusse a diverse condanne. E come editorialista ancor prima che come esponente politico ha espresso opinioni serie e fondate sulla riforma della Giustizia.
Un’altra scelta senz’altro felice, che riguarda in questo caso un ministro nominato in quota Lega, è stata quella di Giuseppe Valditara, un professore universitario di diritto romano chiamato alla guida del dicastero dell’Istruzione e del Merito (aggiunta doverosa, dopo decenni in cui la meritocrazia è sempre più messa in discussione nel nostro sistema educativo). Valditara si occuperà di scuola, non di università, il cui ministero è toccato all’onorevole Bernini, quindi non potrà essere accusato di difendere i privilegi dei cattedratici. Al tempo stesso però non gli può venire addebitata una scarsa competenza in materia, visto che da più di vent’anni si occupa di scuola, prima come assessore alla pubblica istruzione alla Provincia di Milano, poi come responsabile del settore Scuola di Alleanza Nazionale, partito cui l’avvicinò Pinuccio Tatarella e di cui è stato senatore, prima del passaggio all’effimera esperienza di Futuro e Libertà e poi alla Lega, con cui aveva avuto già stretti rapporti, vista la collaborazione con Gianfranco Miglio.
Proprio nella veste di responsabile Scuola di An Valditara dette il meglio di sé, grazie anche alla stima che nutriva per lui Letizia Moratti, ponendo un freno alla deriva in cui tendevano a far cadere la allora titolare di Viale Trastevere alcuni interessati consiglieri, migliorandone la riforma, cercando di promuovere libri di testo alieni dalla vulgata progressista. Purtroppo la sconfitta elettorale del centrodestra nel 2006 ne interruppe l’esperienza e nel 2008, riconfermato senatore, non ottenne quello che sarebbe stato il suo ruolo naturale di sottosegretario al Miur, per i soliti giochi di potere della cricca romana e anche perché il nuovo governo Berlusconi volle limitare all’eccesso il numero dei viceministri. Ora gli si presenta la grande occasione della sua vita. Il suo non sarà un compito facile, come dimostrano i primi attacchi che ha ricevuto per il titolo di un suo saggio divulgativo “L’Impero Romano distrutto dagli immigrati”. Attacchi che dimostrano soprattutto l’ignoranza dei suoi detrattori, che evidentemente ignorano il vocabolo con cui in tedesco viene tradotta l’espressione “invasioni barbariche”: Völkerwanderung, letteralmente “migrazione dei popoli”.
Un altro neoministro che ha goduto della stima di Pinuccio Tatarella, e la cui nomina è stata subito contestata, è Gennaro Sangiuliano, che ha già ricevuto fra l’altro gli insulti, più che le critiche, di Roberto Saviano. Le colpe che gli vengono addebitate sono soprattutto di essere autore di due biografie di personaggi controversi, come Trump e soprattutto Putin, scritte oltre tutto senza plagi, com’è costume invece di qualcuno dei suoi censori. In realtà Sangiuliano è autore anche di una splendida biografia di Giuseppe Prezzolini, scrittoreche gli fece conoscere lo stesso Tatarella quando lui era un giovane di belle speranze, e per il giornalismo ha rinunciato a una brillante carriera accademica, anche se continua a essere docente a contratto di diritto dell’informazione presso la Lumsa e vanta al suo attivo anche numerose pubblicazioni di carattere scientifico. Non si capisce di conseguenza perché per il ministero della Cultura debba vantare minori titoli di un politico di professione come Franceschini.
Sotto un certo profilo, anzi, Sangiuliano può essere considerato il miglior ministro della Cultura nominato dal centrodestra. E non mi riferisco soltanto alla patetica scelta di un Sandro Bondi, ma anche alla nomina di due cattedratici come Urbani e Fisichella, eminenti politologi ma privi di quella poliedrica sensibilità anche artistica necessaria per guidare l’allora ministero dei Beni culturali. Un’obiezione lecita potrebbe essere costituita dal fatto che, facendolo ministro, la Meloni ha “sguarnito” il Tg2 di un direttore d’eccezione, per il quale già si prospettava il passaggio al telegiornale di maggior ascolto, ma, anche se non sarà facile riempire il vuoto da lui lasciato – a meno di non richiamare in servizio un Mauro Mazza, – le sue vulcaniche capacità di lavoro lasciano sperare finalmente che la sua nomina possa tradursi in una sfida all’egemonia culturale della sinistra.
Non esprimo giudizi ovviamente su tutte le nomine. Mi limito a constatare che la scelta di Tajani per gli Esteri è stata opportunamente tattica. Quale miglior garante a Bruxelles di un pacioso ex presidente del Parlamento Europeo, che oltre tutto, prima di congedarsi, rinunciò alla liquidazione? Tajani è un moderato che viene da destra (da ragazzo fu iscritto al partito monarchico) e nei primi anni Ottanta scriveva come me per il “Settimanale”, il bel periodico che all’epoca cercava di contrapporsi a “Panorama” e all’“Espresso”, con capiservizio d’eccezione come Accame e Cattabiani, ma poi fu costretto a chiudere per lo scandalo P2.
Meno felice la scelta della Santanchè per il Turismo: era fatale che il problema dell’incompatibilità fosse sollevato, come infatti è avvenuto, con gli oppositori che hanno avuto buon gioco nel far presente il suo ruolo nel Twiga, lo stabilimento balneare di Marina di Pietrasanta (non di Forte dei Marmi, come viene presentato, ma è una questione di pochi metri) di cui è comproprietaria insieme a Briatore. Se non fosse in ballo la questione dell’opposizione alla vendita all’asta delle concessioni, di cui il centrodestra ha fatto uno dei suoi cavalli di battaglia, il problema non si sarebbe posto, ma così la neoministra rischia di dover rinunciare a una delega di fondamentale importanza, visto il ruolo degli stabilimenti balneari in una nazione come l’Italia.
Sulla chiamata di un tecnico al Viminale non nascondo le mie perplessità. Quello degli Interni è un dicastero eminentemente politico, prova ne sia che uno dei maggiori statisti italiani del secolo scorso, Giovanni Giolitti, anche quando era presidente del Consiglio ne conservava sempre l’interim. Non metto in dubbio la competenza del prefetto Piantedosi, che ha elaborato insieme a Salvini i decreti per il contrasto all’immigrazione clandestina, ma per un ruolo come questo – fermo restando il veto al segretario leghista – non avrei visto male un politico come Gasparri, che in materia di tutela della legalità non ha mai cambiato parere.
Una scelta che mi lascia ancor più perplesso è quella di Arturo Schillaci al ministero della Salute. Non discuto delle competenze scientifiche del magnifico rettore dell’Università di Tor Vergata, ma le sue passate esternazioni in materia di passaporto sanitario mi sembrano in contrasto con la più che motivata opposizione di Fratelli d’Italia alle scelte in materia del governo Draghi. C’è da sperare che, anche alla luce delle recenti ammissioni persino dei vertici della Pfizer e lo scandalo montante sulle forniture di vaccini, il neoministro cambi opinione e, accolga la richiesta di molti esperti che, come Maria Rita Gismondo, direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze dell’Ospedale Sacco di Milano, sollecitano l’abolizione degli ultimi obblighi vaccinali. Altrimenti FdI rischierebbe di perdere le simpatie di quanti l’avevano votata anche perché, non senza coraggio, aveva deciso d’ingaggiare, sfidando i ricatti morali e il terrorismo psicologico, un’autentica battaglia di libertà.
Il compito di Giorgia Meloni è immane, perchè quasi tutti la saboteranno, in modo evidente o più sotterraneo. Questo in maniera aprioristica, sia come sia la composizione del governo.
Nulla contro il Presidente della Camera ed il Ministro dei Beni Culturali. Anche se avrei preferito Giordano Bruno Guerri e non mi piacciono molto quelli che esibiscono ‘no eutanasia’ come una bandiera… Credo nella laicità. In una autentica separazione tra Chiesa e Stato, non nel papocchio ‘lateranense’ voluto dalla buonanima del cavalier Benito nel 1929 e molti seguiti…
Alla luce delle recenti ammissioni dei vertici della Pfizer, ecco il pensiero di Carlo Nordio di qualche mese fa: https://youtu.be/zL00EPN_RMo
Sostanzialmente a favore di un lockdown per i non vaccinati. Con tanto di citazione Kantiana per cui la mia libertà finisce dove comincia quella degli altri.
Bel governo, c’è da stare allegri, anzi in allerta.