
Pubblichiamo un estratto del capitolo Fine del diario storico dal romanzo Le donne non ci vogliono più bene di Enrico de Boccard, in libreria per Solfanelli, a cura di Gianfranco de Turris e Rosanna Romanisio Amerio. Qui si può acquistare il volume direttamente dalla casa editrice
L’Aiutante Maggiore (B)
«E allora bisogna decidersi,» disse l’Aiutante Maggiore a Mezzasega. Erano tutti e due in quella stanzaccia imbiancata a calce, nel cui muro l’intonaco scheggiato mostrava il segno del primo proiettile.
Sulla brandina dell’Aiutante Maggiore erano le volpi argentate e i guanti di Rosamarì, usi al contatto delle sue lievi dita. Prima di entrare, l’Aiutante Maggiore aveva bussato alla porta ma Rosamarì non era nella stanza. C’erano solo i suoi guanti e le sue volpi.
«Decidersi a che?» chiese Mezzasega, che teneva sempre in mano la Fiamma di combattimento.
«A distruggerla,» gli fece l’Aiutante Maggiore indicando il drappo con la rossa M.
«Bisogna proprio farlo?» replicò Mezzasega. «Non si potrebbe portare con noi? È l’anima questa del Battaglione.»
«Sta’ a sentire Mezzasega. Non si può sempre avere il gregorio che hai avuto tu per riuscire a sganciarti dalle carceri… e poi, ammesso che si faccia franca e con la buccia salva si esca fuori della città, cosa vuoi farne? Consegnarla agli Alleati che ne faranno un trofeo di guerra, oppure ci lucideranno le scarpe…»
«E che c’entrano le Truppe Democratiche… se usciamo dalla città, si continuerà bene in qualche posto a combattere… O non ci sono forse ancora la armi segrete dei Feldgrau, quelle che decideranno la guerra… Eppure hai ascoltato anche tu il discorso di quel Frate due settimane fa… Dice che ha visto degli esperimenti, parlava di disgregazione della materia, di energia atomica…»
«Mezzasega bello, tu ti chiami Mezzasega o Nepomuceno, non ricordo bene…»
«Fesso,» interloquì l’interpellato.

«Mezzasega bello ho l’impressione che i Feldgrau non si facciano più neppur loro illusioni su tutte ’ste belle cose. Comunque, ragazzo, stabilito questo, ricordati che vincere sarebbe stato bello, bellissimo, ma ciò che conta è averci provato. Aver provato a farcela. Ma lasciamo andare. La Fiamma, va distrutta. Questi sono gli ordini. Poi, consegnerò il fatto nel Diario Storico. Perché questo è il regolamento. Poi brucerò il Diario Storico, perché questi sono gli ordini, e Caterino sarà soddisfatto. Poi saliremo con tutte le nostre carabattole sui camion, e vedremo se ci riuscirà di non andare a morire ammazzati. Va buono?…»
«’Sto gran che li freghi,» masticava Mezzasega. «’Sto gran che li freghi.» E sciolse il drappo dalle borchie metalliche cui era legato, e lo depose sul letto dell’Aiutante Maggiore, vicino alle volpi di Rosamarì. Con gesto rabbioso Mezzasega lasciò cadere a terra l’asta metallica.
In quel momento nella stanza entrarono il tenente L. e Rosamarì. I loro volti avevano il segno della guerra che finiva: gonfi erano gli occhi della donna e stanchi quelli dell’uomo. Stavano parlando tra loro, e non si aspettavano evidentemente di trovare gente nella stanza. Rimasero così, a guardarsi in silenzio, l’Aiutante Maggiore e Mezzasega, e quei due che erano entrati. Tutti avevano qualcosa di importante da fare, ma erano cose diverse, così tristi che la presenza di estranei al compimento di quelle cose, era fastidioso, offendeva, era come un senso di pudore ferito.

Fu il primo L. a risolvere quel silenzio. «Che cosa state facendo?» chiese.
E Mezzasega in uno scatto quasi iroso, glielo disse quello che stavanofacendo: «Distruggiamo la Fiamma. La distruggiamo perché è finita la Repubblica…»
«Tutto finisce,» mormorò Rosamarì, lasciando andare la sua mano sul braccio di L. Le sue lievi dita sfioravano quelle di lui: Es geht alles vorüber – es geht alles vorbei accennò sul motivo di una assai diffusa canzonetta dei Feldgrau.
Dopo un po’ parlò l’Aiutante Maggiore: «Beh, signora, scusateci un momento… dobbiamo scendere giù, dove arde il fuoco nel corridoio… L., sarei contento se venissi anche tu ad assistere. Non vorrei sembrare sentimentale… Ma mi sembra che ci dobbiamo essere tutti noi, vecchi, mentre quella stoffa si consuma, per ultima, l’unica cosa viva tra quelle cartacce…»
«Aiutante non ti mettere a fare il poeta, adesso,» lo interruppe Mezzasega: era infastidito dalla presenza di quella donna, di quella Rosamarì, ma che c’entrava in fin dei conti quella nelle faccende del Battaglione.

«Prego, non vi curate di me…» disse Rosamarì. «Va’ pure,» sussurrò a L. «Va pure, mio amore,» e si staccò quasi con violenza da lui. «Va’ pure.» (…) «Nulla ha più importanza per me. Io sono finita con la guerra e con il mio amore. Non volevo… non so se voi vi fiderete di me, di una… ho visto che vi dispiace di bruciare quella… quella bandiera… volevo dirvi, tenente, potessi almeno una volta fare qualcosa di buono… posso provare io a mettervela in salvo, al sicuro. E poi… quando sarà finita la furia… potrete riprenderla, farne, farne ciò che avrete deciso. Sempre che vi fidiate di me, che riteniate sia degna di farlo io, una…»
Mezzasega si era avvicinato ora e sembrava che fra le sue dita sventolasse quella Fiamma.
«Signora, lo fareste proprio?» chiese l’Aiutante Maggiore. «A me, qualche volta piace disobbedire agli ordini. Siete proprio decisa a farlo? Può essere assai pericoloso…»
«Non m’importa tenente, non m’importa quello che mi può succedere, se mi ritenete degna di farlo…»
«Cristo, signora,» intervenne Mezzasega, «siete la più gran donna che io abbia mai visto.» Rosamarì gli sorrise tra le lacrime. Un sorriso non triste ma sereno. Un buon sorriso, insomma. (…)
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Rosamarì (D)
(…) Suonavano a distesa le campane celebrando la liberazione della città, e tutti gli uomini e le donne portavano cravatte, nastri, sciarpe e foulards di tutte le gradazioni del rosso. Macchinalmente pensò che forse avrebbe fatto bene anche lei a procurarsi qualcosa di rosso da mettersi in dosso.
Due ragazzi si fermarono, e quando essa fu alla loro altezza, l’abbordarono: «La signorina non è mica repubblicana, per caso?» e risero. «Non ha paura ad andare così sola? Ci sono ancora di quelle carogne in giro. Sparano dai tetti.»
(…) «Noi partigiani abbiamo combattuto per la libertà, noi continueremo a combattere perché sorga il nuovo mondo, il mondo in cui sia abolita ogni ingiustizia, cosa, non crede signora che si possa abolire ogni ingiustizia? Quanti anni ho, signora?… ventidue … dice che invecchiando non crederò più che si possa abolire l’ingiustizia … evvia, scommetto che lei è più giovane di me, signora.» … Credimi, ragazzo partigiano di ventidue anni, l’ingiustizia nessuno potrà mai abolirla, l’ingiustizia è dentro di noi; (…) In mezzo alla piazza, da un lampione, un corpo pendeva, impiccato. Il corpo di un morto vestito in borghese, dalla bocca… Oh, è orribile, pensa Rosamarì, e cerca di farsi forza: «Questo,» le dice il partigiano, «è il Commissario Federale del Partito Rivoluzionario Repubblicano. L’hanno preso stanotte, quelli del 5° S.A.P….» dalla bocca sfigurata esce qualcosa di violarossastro, tutta la testa è piegata, schiantata verso la spalla; le mani non si vedono, legate forse dietro la schiena. «È lui il famoso commissario, quello che doveva stroncare i partigiani… (…)
Prima che essa lasciasse la strada centralissima che percorreva, vide in mezzo alla via, tra diversi partigiani armati, procedere un gruppo di repubblicani, uomini e donne.
lo sguardo di Rosamarì si era posato sulle donne: tutte giovanissime ragazze del Servizio Ausiliario Femminile della Repubblica. I loro capelli erano stati recisi e poi con la macchinetta avevano lavorato sulla loro testa così da raparle a zero, e sul quel cranio calvo che dava loro uno strano aspetto di pupattole, con vernice nera avevano tracciato l’emblema della repubblica.
(…) I partigiani ripresero a camminare con i prigionieri, su, un buon colpo nelle reni del vecchio colonnello: «Non dormire, porcone, quella, vedi, è la fine che farai anche tu.» Siccome le ragazze piangevano, uno del marciapiedi disse ad alta voce nella loro direzione: «Coraggio, puttanelle, che incomincia un’altra quindicina.» Ci fu qualche risata, poi la gente se ne andò di nuovo per i fatti suoi. (…)
Rosamarì svoltò in una strada stretta, quasi deserta, entrò nell’androne. Cercò di ravviarsi alla meglio i capelli con qualche tocco delle lievi dita, bruscamente si ricordò del fazzoletto rosso che portava al collo, per un momento tentò di scioglierlo, il nodo resistette, lasciò andare. Troppa fatica… in fondo, che le importava, mettere in salvo la Fiamma, ancora pochi gradini, e avrebbe compiuto ciò che aveva promesso all’Aiutante Maggiore, ancora pochi gradini, Rosamarì guerra-amore, e poi tutto sarà veramente finito, l’ultimo palpabile legame sarà troncato. Tirò a sé con forza il pomo del campanello, anche quel pomo era d’ottone, era un inno all’ottone, al metallo ottone, su cui poggia tutta la rispettabilità rappresentativa borghese, il vecchio mondo borghese che lei aveva offeso; bisogna fare così perché sempre si è fatto così, i rivoluzionari sono dei criminali, lei che ne dice, egregio presidente, con la sua pratica del mondo, eh, caro il mio notaio, l’essenziale è poter sempre condannare a morte i Catilina. Ah, certo, lei ha ragione. Di destra o di sinistra? Non esistono, caro il mio consigliere, né destra né sinistra, esistono le persone per bene che siamo noi, e i rivoluzionari che sono gli altri, cioè i delinquenti.
«Consigliere, mi è stato affidato qualcosa. «Qualcosa che considero sacro. Qualcosa che desidero sia custodito in luogo sicuro e…» esitò un poco, «degno. Degli uomini sono morti credendo in ciò che era rappresentato da questa cosa; per questo dico che è sacro: è la Fiamma di combattimento dell’8° Battaglione d’Assalto della Repubblica. Ecco.»
E con le lievi dita, incurante della presenza del vecchio, si aprì la veste sul seno, tolse due spille di sicurezza che caddero senza rumore a terra, si frugò sotto il pallido azzurro della biancheria. «Ecco,» ripeté e cercando di togliere le pieghe, tese il drappo innanzi a sé verso il vecchio. Questi considerò senza parlare la nera stoffa con il rosso monogramma. «Cosa vorrebbe, signora, che ne facessi?» chiese infine. «Vorrei che fosse custodita… di là, in luogo che le conviene, sotto al ritratto di… di mio marito. Affidarla a un morto, è la miglior cosa che possiamo fare per la bandiera di quelli che sono morti; lei consigliere può pensare di me quello che vuole, vede, io non mi sono curata mai di politica, fuori ora li uccidono, li… ho visto, venendo qui, delle scene che mi fanno star male, non se ne abbian ragione o torto, ma in ogni modo per questa bandiera sono morti degli uomini, combattendo per ciò che essa significava. Per questo è sacra, per questo 1’ho portata qui. E con gesto automatico delle lievi dita continuava a stirare il drappo, così piano che sembrava lo accarezzasse. O forse era così. «Può essere pericoloso…» rifletté il vecchio, e prese il drappo. «Credo sia meglio metterla qui, dietro al ritratto.» Si muoveva con i gesti di un sacerdote intento a un rito, il vecchio. «Ecco, più tardi poi vedrò di sistemarla meglio, questa… bandiera. Verrà qualcuno a ritirarla, un giorno?» «Sì,» accennò Rosamarì col capo. «Qualcuno, un ufficiale, l’Aiutante Maggiore. Si chiama…» e ne disse il nome. «Grazie, consigliere, sapevo di non sbagliarmi rivolgendomi a lei. Ora la lascio solo. La ringrazio proprio,… anche a nome di quelli del Battaglione. Oggi ho incontrato un tizio, un partigiano, che crede si possa abolire l’ingiustizia del mondo. È colpa dell’ingiustizia, vede consigliere. Se si riuscisse ad abolirla… Ma io non ci credo, neppure lei, vero, ci crede. E allora, mi chiedo anch’io come lei, e allora?…»
Il vecchio infine parlò: «Sì, capisco, figliola, capisco. Ma ora… ora è finito, vero?»
«Sì,» mormorò Rosamarì, e smise di sorridere, «sì, è finito, è comunque finito.».
Il titolo originario del libro era “Donne e mitra”.